Allegato: Festa del Sacro Cuore
Cuore di Gesù 2025 (Festa dell’Ospedale Negrar)
Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, venerdì 27 giugno 2025
(Ez 34,11-16; Sal 23; Rm 5,5b-11; Lc 15,3-7)
“Ecco, io stesso cercherò le mie pecore… Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte”. Le parole che il profeta Ezechiele mette in bocca a Dio suonano polemiche nei riguardi dei capi del popolo che abbandonano la gente al loro destino. Ma suonano pure rassicuranti per la povera gente perché dicono di una cura e di una vicinanza inaspettate. Si intuisce che il cuore di Dio è diverso da quello dell’uomo medio: “forte con i deboli e debole con i forti”. Don Calabria ha avuto il cuore di Dio e per questo ha prediletto a sua volta vite scartate: i neonati abbandonati, gli orfani, gli anziani lasciati soli, i malati mentali, le persone affette da malattie incurabili o con gravi malformazioni, coloro che vivono per strada. Viviamo tempi in cui per un “diabolico” cortocircuito l’umanità si prepara a “riarmarsi”, destinando ingenti risorse alle armi più distruttive invece che investire nella salute, specie quella delle persone più fragili. Siamo in presenza di una paradossale distorsione del cuore umano! Cosa fare?
“Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita”. Il Maestro viene crocifisso nell’indifferenza del popolo e nella distrazione dei suoi discepoli impauriti, ma proprio per questo la sua donazione ci appare ancora più libera e insieme più convincente. L’immagine giovannea dell’acqua e del sangue che fuoriesce dal costato è solo un simbolo per farci intendere che proprio quello che causa la morte è pure l’origine della nostra salvezza. Il cuore “trafitto” del Cristo è molto lontano dai cuori “infranti”, dietro cui si perde la nostra generazione. Ieri come oggi è il Cuore di Dio che si apre e dona la vita la strada da percorrere.
“Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?”. La domanda è provocatoria perché a dire la verità nessuno rischia di perdere le novantanove per una soltanto, ma Dio le vuole tutte e cento e non permette che alcuna si perda. La misericordia di Dio che non sta mai ferma, ma è sempre alla ricerca, suggerisce tre cose molto semplici. La prima è che Dio resta l’unico pastore, cioè Colui che ci guida anche in mezzo alla notte e ci aiuta a non perdere la strada. La seconda è che Dio crede in noi più che noi in noi stessi. La terza è che solo quando sperimentiamo la misericordia di Dio sulla nostra pelle impariamo che vuol dire aspettare gli altri senza intolleranza e freddezza. Si smette di vivere, infatti, quando si rinuncia ad osare di più, accontentandoci di quello che siamo e rinunciando di fatto a quello che potremmo diventare. “Prego il Signore Gesù… per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno” (Francesco, Dilexit nos, n. 220).