Allegato: 22_12_2024 – La danza come bellezza e “oltre” da sè – IV Avvento (Alpini)
Messa IV Avvento con gli Alpini
Basilica di San Zeno, 22 dicembre 2024
“Maria, si alzò e andò in tutta fretta”. Mai si comprende la tristezza della solitudine come quando la bellezza attraversa la vita e non si ha nessuno con cui condividerla. Non è così per Maria che si mette in cammino, affronta un viaggio faticoso di almeno quattro giorni verso Ain Karim, spinta dal desiderio di condividere quello che sta vivendo con l’unica che avrebbe potuto capirla veramente. Elisabetta, infatti, è il simbolo dell’umanità sterile, l’umanità senza speranza, convinta di non poter più dare frutto. L’umanità attraversata dell’idea che Dio sia ormai lontano. Persino suo marito Zaccaria, nonostante il tempo che trascorre nel tempio a contatto col sacro, non crede più che Dio possa operare nella loro vita. Elisabetta forse nel suo silenzio ha continuato a sperare. Forse anche lei ha sperimentato la solitudine, l’impossibilità di condividere con qualcuno quella briciola di speranza che le restava. È proprio a questa umanità sterile che Maria porta Cristo. Così è per noi questo ennesimo Natale che ci trova spenti, depressi e ansiosi per una situazione che resta sospesa e non ci fa immaginare nulla di buono all’orizzonte.
“Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo”. Il bambino, ascolta le voci d’ambiente, ovattate. Ma l’effetto è dirompente: la voce di Maria lo fa letteralmente sobbalzare. Che cosa avrà avuto di speciale il tono di voce di Maria? Il bambino di Elisabetta è avvolto dal liquido amniotico. Il sapore dell’Eterno che sta nel grembo di Maria attraversa il bambino di Elisabetta che si apre alla danza. Quel che sembra una danza improvvisata da Giovanni il Battista ancora nel grembo fa emergere una dimensione centrale dell’esistenza.
La danza parla il linguaggio della bellezza, oltre la semplice giustizia o la pura verità. Chi salverà il mondo? Solo la bellezza. Ecco perché il presepio ci incanta. Non è un simbolo di identità culturale o religiosa da brandire o viceversa da temere. È un’esperienza di bellezza e di armonia che ci riconcilia con il mondo e con la vita perché i punti bui sono attraversati da punti di luce che sovrastano le tenebre.
La danza svela poi che l’uomo è spirito incarnato o, se si vuole, è carne spirituale. Perché danzare è più che una movenza fisica o una istintiva esaltazione. Dice piuttosto una tensione fisica ed emotiva, che esprime ricerca, autocontrollo, slancio, passione, fatica, dolore, amore. È un mix di corpo e di anima e questa è la fede cristiana.
La danza, infine, esprime una tensione unitaria verso lo stesso centro di gravità, pur da punti di vista differenti. Dice che siamo sulla stessa barca e tendiamo a qualcosa che è al centro rispetto a noi che siamo come eccentrici, cioè non occupiamo la scena. Dio invece viene sempre dal futuro: Maranathà infatti vuol dire sia “Vieni, Signore Gesù!”, sia “Il Signore è venuto!”. Danzare è bello e dà piacere perché fa riassaporare la bellezza, fa sentire vivi e proietta oltre noi stessi. Di qui nasce la gioia del Natale.