I giovani sono profeti in una terra che grida – Lectio Giovani (Cattedrale di Verona)

AllegatoLectio giovani (Cattedrale di Verona)

Lectio giovani
Cattedrale di Verona, venerdì 31 gennaio 2025

Geremia è uno dei grandi profeti di Israele, di certo il più grande dopo Isaia. Così popolare che Gesù stesso sarà scambiato per Geremia. Quando infatti Egli domanderà che cosa la gente dice di Lui, gli risponderanno: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti» (Mt 16,14).
Geremia visse e predicò in un tempo travagliato tra il VII e il VI secolo a.C. che portò alla caduta di Gerusalemme e alla fine del tempio (598 a.C.). Lui previde e preannunciò la Shoà, cioè la distruzione di Gerusalemme e la deportazione di circa mezzo milione di ebrei per mano dei Babilonesi. Per questo sarà definito una “Cassandra” perché non risparmierà le sue critiche a quanti volevano far finta di niente, negando la corruzione del popolo, la deviazione idolatrica e la mancanza di giustizia. Da qui si vede la stoffa del profeta che non asseconda il popolo o il potente di turno, ma sa andare anche “contro vento”, a rischio della propria vita.
Il libro di Geremia è originale perché oltre agli oracoli, alle minacce e alle consolazioni emerge tra le righe la sua vicenda personale. Non a caso il libro si apre con una visione che è, in realtà, il racconto della sua chiamata, quando aveva appena 18 anni. A distanza di tanto tempo da quel momento Geremia ricorda perfettamente quel che accadde. Pur vivendo un momento di grande sofferenza in cui riconosce il totale fallimento della sua missione (per 23 anni ha inutilmente parlato e profetato), Geremia avverte l’ispirazione divina di richiamare alla memoria la grazia iniziale. Come se volesse resistere, ricordando che, malgrado tutto, è Dio che lo ha chiamato e lui non ha fatto altro che obbedire alla voce.

A.
Stasera poteva essere tra noi Giorgia Elisabetta Frigo, 39 anni, in passato grafica pubblicitaria, che domani farà la sua professione religiosa perpetua nella parrocchia dello Stadio. Mi confidava che a 23 anni dentro una vita che andava da tutt’altra parte, ha avvertito la voce di Dio attraverso le “10 parole” che le hanno fatto presentire qualcosa di buono che l’ha rimessa in movimento. Che cos’è la vocazione? Non è solo quella di Giorgia, ma è come quella di Giorgia. È una chiamata profonda che, quando vi rispondiamo, ci aiuta a fiorire pienamente. Ogni vocazione è un cammino unico e personale. Ciascuno di noi trova il proprio modo distintivo di sperimentare e donare amore, in contesti diversi, con persone diverse, in circostanze uniche. La vocazione non è un rigido programma di vita da seguire. Spesso ci sentiamo oppressi e percepiamo un senso di fallimento quando non raggiungiamo certi standard, ma questo deriva da un fraintendimento: dimentichiamo che la vocazione è essenzialmente una questione d’amore. Così come si ricava dalla storia di Geremia che presenta come tre momenti: la chiamata, il dubbio, la rassicurazione.
“In quei giorni mi fu rivolta questa parola del Signore: / «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, / prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; / ti ho stabilito profeta delle nazioni»”.
Si percepisce la presenza di Dio come una forza che chiede una risposta personale. È l’inizio di una vita nuova, dove scopriamo la nostra capacità di rispondere liberamente, con i nostri “sì” e i nostri “no”. Questa risposta a Dio avviene anche quando non crediamo o non pensiamo a Lui: il nostro modo di amare, sperare e soffrire è comunque una risposta a un Dio già presente. Ogni nostro gesto, parola o decisione è un modo concreto di relazionarci con questo amore fondamentale.
“Risposi: «Ahimè, Signore Dio! / Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». / Ma il Signore mi disse: «Non dire: ‘Sono giovane’. / Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò / e dirai tutto quello che io ti ordinerò. / Non aver paura di fronte a loro, / perché io sono con te per proteggerti»”.
Geremia, come molti profeti, si sente inadeguato di fronte alla chiamata. Non è un rifiuto superficiale, ma un “no” sofferto che nasce dalla consapevolezza dei propri limiti: “Sono giovane, non so parlare. Non ho nulla di significativo da dire a Dio o al mondo. Non sono ancora nessuno”. Geremia teme di trasformare la propria vita in un’opera d’arte e vorrebbe fuggire da sé stesso e dal Dio che gli chiede di parlare d’amore.
“Oracolo del Signore. / Il Signore stese la mano / e mi toccò la bocca, / e il Signore mi disse: / «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. / Vedi, oggi ti do autorità / sopra le nazioni e sopra i regni / per sradicare e demolire, / per distruggere e abbattere, / per edificare e piantare»”.
Qui avviene un gesto concreto: Dio stende la mano e tocca la bocca di Geremia. Mentre il gesto di mettere la mano sulla bocca solitamente serve a far tacere, il tocco di Dio è un invito a parlare: “Parla in mio nome, perché io sono con te”. E vengono di seguito elencati 6 verbi per descrivere l’azione del profeta. “Sradicare, demolire, distruggere, abbattere” sono i verbi al negativo che costituiscono la pars destruens. Poi ci sono due verbi in positivo: “edificare e piantare”. Questa è la pars costruens. La sua missione sarà una missione di critica, di minaccia, anche se sarà presente la missione costruttiva; sarà un compito faticoso, pesante.

B.
Geremia fa molto uso di immagini potenti. La prima immagine che compare subito corrisponde ai versetti che seguono immediatamente la vocazione:
“Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Che cosa vedi, Geremia?». Risposi: «Vedo un ramo di mandorlo». Il Signore soggiunse: «Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla»” (Ger 1,11-12).
Dio chiede a Geremia: «Che cosa vedi?». Non vuole che ci chiudiamo in casa a guardare i soffitti o in chiesa a contemplare gli altari, o a sdraiarci da qualche parte a guardare per aria. Ci invita invece a osservare la realtà, comprenderla, riconoscerne i limiti e, soprattutto, individuare i semi di speranza già presenti nella terra oscura, perché qualcuno ce li ha gettati fiduciosamente.
«Vedo un ramo di mandorlo», risponde Geremia. «Hai visto bene», dice Dio, «perché io vigilo sulla mia parola, non permetto che si disperda, la custodisco affinché diventi realtà». In ebraico questo dialogo nasconde un gioco di parole tra “mandorlo” (shaked) e “vigilo” (shoked). Questo gioco di parole indica che i profeti non guardano un altro mondo e vedono le stesse cose che vediamo tutti. La differenza è che le riconoscono come custodite da Dio, cercano dentro gli eventi che capitano un significato pasquale, di rinascita, di pace, di giustizia, di bellezza che trasforma. Il mandorlo diventa simbolo di speranza perché è il primo albero a fiorire, quando ancora è inverno. È l’albero della fiducia. Quando Dio dice a Geremia «Non dire: sono giovane», gli sta dicendo di non avere paura. Tutto oggi ci invita ad avere paura: dei cambiamenti, delle persone diverse, del futuro. Geremia ha paura ed esita perché è un na’ar, un “giovane”, cioè una persona non ancora pienamente autonoma e che ha visto ancora poco del mondo. Ma Dio rovescia questa prospettiva, ed è come se gli dicesse: «Forse è proprio per questo, per il tuo modo di guardare i rami di mandorlo, che ti ho scelto».
Come Geremia, i giovani sono profeti in una terra che grida, lacerata da diversi dolori e ingiustizie. Non siete l’attesa di un domani che verrà. Credo che vi dia fastidio sentire frasi come «voi siete il futuro». Non è vero! Voi siete il presente che respira, che soffre, che spera. La giovinezza non è solo la debolezza dell’inesperienza, ma forza profetica perché capace di stupirsi e di stupire, di sognare e far sognare, di riconoscere la presenza di Dio nei dettagli che altri ignorano e raccontarla. Come il mandorlo siamo tutte e tutti chiamati a essere segno di speranza ostinata, di quella speranza che non è ottimismo superficiale ma profonda fiducia nel Dio che “vigila sulla sua parola”.
Non è chiesto di avere tutte le risposte, ma di fare le domande giuste. Non è chiesto di salvare il mondo da eroi solitari, ma di essere fedeli alla nostra parte nel grande disegno di Dio. La nostra vocazione è qui e ora: nelle nostre città, nelle nostre scuole, nei nostri luoghi di lavoro, nelle nostre relazioni, nelle nostre chiese.
Il mandorlo fiorisce ancora, oggi. I giovani sono chiamati a essere testimoni di questa fioritura, a custodirla, a farla crescere. Non nel futuro, ma oggi. Non altrove, ma qui. Non in solitudine, ma insieme, in quella trama di relazioni che Dio stesso tesse attraverso le nostre vite, i nostri “sì” e anche i nostri “no”, trasformando ogni gesto d’amore in profezia di un mondo nuovo che già germoglia nel presente.
Tre domande per la preghiera:
Avverto in me una chiamata a fare qualcosa oppure da qualcuno una chiamata ad essere oppure oltre me stesso nulla mi coinvolge?
Il mandorlo anticipa la primavera. Sono giovane abbastanza nel senso proprio perché inesperto sono capace di sguardi inediti, di prospettive originali, di visioni nuove?
Quando è stata l’ultima volta che ho sentito rivolta a me personalmente una parola di Dio?

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