I domenica di Avvento 2025 (A)
(Is 2,1-5; Sal 122; Rom 13,11-14a; Mt 24,37-44)
Hotel Parchi del Garda in Lazise, San Giorgio di Valpolicella, Casa San Fidenzio in Novaglie, Sommacampagna, domenica 30 novembre 2025
“Mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito… e non si accorsero di nulla”. Gesù non contesta l’esistenza, ma la routine che toglie lucidità allo sguardo e rende come assenti. Accade quando si vive immersi e quasi risucchiati dal susseguirsi delle cose. La vita, però, resta imprevedibile e accadono anche cose che non rientrano nelle nostre previsioni e nei nostri calcoli. Non è soltanto, ahimè, una malattia o un incidente. È la vita che bussa alla nostra porta. Specialmente quando è in gioco l’incontro con il Signore. Ci diciamo cristiani, ma chi ci pensa ancora come ad un evento possibile? Eppure senza questa attesa abbiamo smarrito che significa credere. Credere, in fondo, vuol dire consapevolezza che il mondo non è chiuso in sé stesso, ma è aperto. Beninteso, non a qualcosa, ma a Qualcuno! Ma chi attende ancora qualcosa o Qualcuno? Siamo, per definizione, impazienti e qualsiasi ritardo invece di sollecitarci a maggiore attenzione ci fa evadere verso altro.
Allora si comprendono le parole del Maestro: “Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”. Più che incutere terrore o soggezione, vuol metterci di fronte al futuro che accade senza che noi si sappia quando. “Resistere oggi all’aria del tempo” (A. Camus) vuol dire sottrarsi a questa incoscienza rispetto al futuro, di cui si parla sempre, ma scambiandolo per il presente che gestiamo noi. Nella pagina evangelica chi rompe gli schemi è Noè. Fa quel che tutti fanno, ma nel frattempo costruisce l’arca che ha un grande valore. L’arca è il simbolo del nostro impegno per la cura di tutti perché nessuno si perda. È l’arca la forma dell’attenzione verso il prossimo che non si lascia logorare dalla frenesia del lavoro e neanche dalla brama di accumulare. Ma sa pazientemente tessere rapporti di qualità presagendo che dentro ogni avvenimento si gioca il nostro destino eterno.
“È ormai tempo di svegliarvi dal sonno” è un altro modo per dire la stessa cosa. La fede sottrae al sonnambulismo di chi va avanti senza sapere dove e chiede una presa di posizione personale. Ciò che fa la differenza è l’apertura al futuro cioè non lasciarsi ingabbiare dal presente, né tantomeno dal passato. Svegliarsi dal sonno è uscire dal rimpianto e dall’automatismo del “si è sempre fatto così” e aprirsi al nuovo, all’inedito, all’imprevisto. Noi siamo spesso schiacciati dentro il presente che sembra insuperabile mentre è destinato a dissolversi per lasciare spazio ad altro. Come suggeriscono le parole del profeta Isaia: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra”. Avviamoci al Natale di Gesù Cristo con questo atteggiamento più consapevole e più aperto al possibile senza farsi imbrigliare dalla nostalgia del passato o dalla semplice presa del presente. Noi siamo fatti per il futuro a cui riservare attenzione invece che mostrare indifferenza.
