Allegato: Cresime Festa di san Giuseppe
Festa di san Giuseppe
Cresime
(Mt 13,54-58)
Casaleone, giovedì 1° maggio 2025
“«Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua»”. Nel testo di Matteo emerge tra le righe un elemento non trascurabile dell’identità di Gesù che viene identificato, non senza una punta di disprezzo, come “il figlio del falegname”. Il che, oltre a rimandare a Giuseppe, fa scoprire l’esperienza di lavoro manuale che per trent’anni il Maestro ha vissuto non come una iattura, ma come una possibilità di diventare veramente umano, cioè creativo. In effetti, a mezz’ora di cammino da Nazareth, sorgeva Seffori, una delle più grandi città della regione, che era stata distrutta dai Romani nel 4 a.C. per via di una ribellione. Il Tetrarca della Galilea, Erode Antipa, aveva deciso di ricostruirla e farne la capitale del suo regno. La città, ribattezzata Autokratis, doveva avere un piano urbanistico simile alle città greco-romane, con un teatro da 5.000 posti. È possibile che in un cantiere di queste dimensioni che durò per parecchi anni Giuseppe potrebbe aver lavorato. E con lui, non si fatica a crederlo, anche Gesù.
Il lavoro, dunque, non è una maledizione, ma è un modo concreto con cui dar seguito alla creazione di Dio, a condizione che lo si concepisca non come un modo “per far soldi”, ma piuttosto “per creare ricchezza”. Questa è la vera differenza, cari ragazzi e ragazze, che va compresa da subito. Si lavora per ampliare lo spettro delle possibilità per tutti e non per diventare accumulatori seriali. Voi avete al momento come lavoro lo studio che è un modo per tirar fuori i vostri talenti e poi impiegarli nei diversi campi della vostra vita futura. Per questo, il lavoro definisce l’uomo perché dà significato al suo agire. Senza l’uomo non c’è lavoro, ma senza lavoro non c’è neanche l’uomo. Resta una questione che va affrontata: come fare per dare il proprio contributo alla società? Cercando di capire quali siano i vostri reali interessi, scegliendo quelle che sono le vostre autentiche possibilità, individuando le vostre caratteristiche peculiari e valorizzando così la vostra attitudine prevalente. Quel che conta è che come Gesù non rifiutiate il lavoro manuale che oggi è il contrario del lavoro digitale. Le mani sono degli organi del corpo straordinari per la loro complessità e la loro capacità. Non limitatevi ad utilizzare il polpastrello di un dito per acconsentire alla rivoluzione digitale in corso, ma sporcatevi le mani per intero. Allora la vostra capacità di lavoro, cioè la vostra creatività, si amplierà a dismisura. Aveva forse ragione il Molleggiato quando cantava: “Chi non lavora, non fa l’amore” (sic!). Sì, chi lavora crea ricchezza, chi non lavora è sterile e impotente.
