“Senza la luce del Vangelo si rischia il black out” – Cresime

VIII domenica per annum 2025

Allegato: Cresime -VIII domenica per annum 2025

Cresime – VIII domenica per annum 2025
(Sir 27,4-7; Sal 92; 1 Cor 15,54-58; Lc 6,39-45)
Affi, sabato 1° marzo 2025; Ronco all’Adige e Albaredo, domenica 2 marzo 2025

 “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?”. Gesù è un maestro molto concreto. Sa che ci sono alcuni che dopo un po’ si sentono maestri che superano il maestro. Mentre devono ricordarsi che nessuno è al di sopra di lui. I bambini oggi nascono “con gli occhi aperti” si usa dire. Per rimarcare che sono effettivamente più svegli, meno complessati, più smart e meno impacciati di una volta. Però rischiate di essere “ciechi” se mancate della luce della fede. Solo Gesù, infatti, apre gli occhi sulla realtà; spinge “oltre” il proprio naso con gli altri da amare, il mondo da custodire, Dio da ricercare. Senza la luce del Vangelo si rischia il black out. Salvo lasciarsi accecare da luci fatue: conta avere, comandare, sopraffare!

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio… Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”. C’è un meccanismo psicologico fin troppo scoperto per cui ognuno rimprovera all’altro quello che è un suo difetto. Della serie: per accorgersi di un tirchio ci vuole un altro tirchio (sic!). Accade così che per il meccanismo della proiezione si sia particolarmente duri proprio nei confronti di quei difetti che ci appartengono. Sarebbe un modo per distogliere l’attenzione da sé e proiettarli sugli altri, così da non dover più guardare a sé stessi. In realtà, l’unica critica autentica è l’autocritica. Diversamente si rischia di diventare criticoni, che confina con il rosiconi. Ci si aspetta che tutto cambi se l’altro cambia. Mentre quel che fa la differenza sarebbe soltanto quel che ciascuno riesce a cambiare di sé. Ma è quasi impossibile: il problema sono sempre gli altri, il peccato non mi riguarda perché non ho nulla da migliorare.

La sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.  Il rapporto cuore-bocca, ovvero interno-esterno, invisibile-visibile, silenzioso-udibile è manifestato dalla parola, realtà spirituale e corporea al tempo stesso. La parola è intimamente legata al nostro corpo e alla nostra anima, alla nostra biografia e alle nostre ferite, alla nostra affettività. La parola è anche forma di esplicita consegna di noi all’altro: la parola ci mette a nudo perché viene dal cuore, svela qualcosa della nostra interiorità. Parlare è “dirsi” e forse anche “darsi”. Non c’è possibilità di comunicare senza un coinvolgimento reale che manifesti quello che c’è nel cuore. Il problema è che quando la bocca non è connessa al cervello e al cuore rischia di essere un disastro. Allora il rischio diventa di proferire parole vuote, arroganti, distruttive che non favoriscono la comunicazione, ma la distruggono. Vi auguro di avere occhi aperti e non chiusi o peggio ripiegati sul display elettronico; di essere autocritici e non solo criticoni; di parlare sempre “connessi” al cuore. Diceva, infatti, Platone: “Possiamo perdonare quando un bambino ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce”.

 

 

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