Nuove configurazioni ecclesiali per il contesto urbano
Congrega vicariato Verona centro
Vescovado di Verona, giovedì 18 settembre 2025
“Possiamo immaginare le nostre parrocchie in una rete costruita con attenzione ai bisogni del territorio, con nodi particolari, nella libertà di accettare che non tutto si può fare con la stessa intensità e negli stessi modi. In queste reti – penso ad esempio al centro storico di Verona – ci saranno alcune “comunità matrici” che sostengono l’insieme di voci diverse che rispondono a domande diverse. Parrocchie che smettono di considerarsi concorrenti e creano alleanze, mettendo in comune competenze e risorse. Alcune eccellono nella liturgia, altre nell’educazione, altre nella carità, altre nella comunicazione. Insieme formano una chiesa polifonica, con calendari pastorali condivisi, équipe ministeriali interparrocchiali, formazione comune e celebrazioni unitarie nei tempi forti.
Penso anche che le parrocchie, superando la tentazione di chiudersi in una routine autoreferenziale, possano essere non solo un tempio dove pregare, ma anche un punto di riferimento e un luogo accogliente, aperto a persone di ogni estrazione spirituale, culturale e sociale, in cerca di un ambiente umano dove incontrarsi e dialogare” (Sul limite, 84-84).
Abbiamo la consapevolezza che le nostre comunità parrocchiali che vivono in città, stanno vivendo un tempo di profonda trasformazione. Negli ultimi anni non sono mancati momenti di confronto e di analisi, in particolare attraverso il cammino condiviso con la Congrega del Vicariato di Verona centro e nel discernimento che ciascuno di voi ha portato avanti personalmente. Abbiamo ascoltato con attenzione la realtà che ci circonda: la trasformazione urbanistica e sociale della città, il mutamento degli stili di vita, la presenza di un pluralismo culturale e religioso sempre più evidente, il calo della partecipazione ecclesiale, insieme alla fragilità numerica e generazionale dei nostri presbiteri.
Tutti questi elementi ci indicano con chiarezza che la parrocchia, così come l’abbiamo conosciuta fino a oggi, non basta più. Non è sufficiente per rispondere alle nuove domande, non è adeguata a intercettare i desideri profondi delle persone e non è capace, da sola, di generare futuro. Se ci limitassimo a difendere ciò che già esiste, rischieremmo di tradire la missione che ci è stata affidata.
Dalla parrocchia “recinto” alla parrocchia “matrice”
In questo contesto emerge la necessità di un passaggio: non possiamo più pensare alla parrocchia come a un “recinto” che custodisce semplicemente ciò che già c’è, ma siamo chiamati a immaginarla come una “matrice”, cioè come un grembo capace di generare. È come una madre: non trattiene per sé, ma mette al mondo.
Questa visione affonda le radici negli incontri e nel cammino sinodale di questi anni, che ci ha invitati a dare una forma nuova alle nostre comunità.
Una Chiesa profetica
In più occasioni, anche nei due incontri vissuti in Vescovado e nella “visita lampo” al Teatro Stimate, abbiamo riconosciuto che la Chiesa è chiamata a essere profetica. Questo significa che non può limitarsi a rincorrere i tempi, adeguandosi passivamente ai cambiamenti, ma deve avere il coraggio di anticipare scenari, di favorire dinamiche nuove, di generare futuro. Essere profetici non vuol dire avere risposte pronte per ogni situazione, ma significa osare visioni, aprire cammini e indicare direzioni nuove.
Dobbiamo porci la domanda: che cosa diventeranno le nostre parrocchie fra qualche anno? E: quale volto di Chiesa vogliamo consegnare a questa città che cambia con una rapidità impressionante?
La sfida non è la gestione dell’esistente, ma l’interpretazione del presente alla luce del futuro, scegliendo di investire in processi generativi e non solo in strutture consolidate.
Una nuova ministerialità urbana
Su questa stessa linea, anche il Consiglio Presbiterale, nella sessione dell’8 maggio scorso, ci ha chiesto di lavorare su una nuova ministerialità urbana. È emersa la necessità di elaborare una mappa progettuale delle parrocchie della città. Non una semplice riorganizzazione di spazi, ma un disegno ecclesiale capace di dare senso e direzione alla nostra presenza.
Si tratta di investire non tanto in strutture consolidate, quanto in processi generativi che facciano nascere nuove esperienze di fede e di comunità.
Dal bisogno al desiderio
Siamo chiamati a passare dal bisogno al desiderio. Il bisogno chiede risposte immediate; il desiderio orienta e apre al futuro. Le persone non cercano solo servizi, ma relazioni autentiche e senso di vita. Il nostro compito è intercettare e accompagnare questi desideri, imparando ad abitare la città e ad annunciare la Buona Notizia nel suo cuore pulsante.
Le comunità matrici: un cuore pulsante
Nella Lettera pastorale Sul limite ho parlato della necessità di ridisegnare le comunità attorno a delle “comunità matrici” (si veda 3.2 particolarmente pagina 84). Non si tratta più soltanto di pensare alle “unità pastorali” come a delle aggregazioni funzionali, ma di immaginare comunità di riferimento capaci di generare vita per tutta la rete ecclesiale.
La comunità matrice non vive solo per sé stessa, ma è chiamata a generare, ad accompagnare e a far crescere altre comunità. Questa dinamica non è nuova: già le prime comunità cristiane, raccolte attorno agli apostoli, erano luoghi di preghiera, fraternità e missione, da cui scaturivano nuove esperienze di fede.
Lo stesso accade oggi nelle terre di missione, dove spesso esiste una comunità centrale che diventa punto di riferimento per quelle vicine. In essa si coordina la vita delle varie realtà, si formano i catechisti, si sostengono le attività… La comunità matrice, dunque, non accentra tutto su di sé, ma si mette a servizio delle altre, affinché possano crescere e diventare anch’esse vive e missionarie.
Passi operativi verso il cambiamento
Questo sogno deve ora diventare cammino. Non basta evocarlo, è necessario tradurlo in scelte concrete. Per questo il Consiglio Presbiterale ci ha chiesto di elaborare una mappa progettuale delle parrocchie cittadine. Tale mappa non sarà una semplice riorganizzazione di spazi, ma un vero e proprio disegno ecclesiale, capace di esprimere forma e senso alla nostra presenza.
Le “comunità matrici” avranno tre compiti principali: coordinare alcune attività comuni (catechesi, carità, formazione, liturgia), offrire servizi condivisi (uffici, archivi, centri amministrativi), sostenere le altre comunità nella progettazione e nelle iniziative pastorali. Attorno ad esse, le altre comunità e le rettorie formeranno una rete, non come realtà marginali, ma come luoghi specifici di ascolto, di riconciliazione e di vicinanza.
Per arrivare a questo traguardo sarà fondamentale rispettare la storia e il vissuto di ogni comunità, leggere con attenzione le dinamiche urbanistiche e sociali della città, valorizzare il contributo dei presbiteri e degli operatori pastorali e prevedere tempi graduali, con momenti di verifica.
Il primo passo concreto è l’individuazione di cinque comunità matrici. Cosa che mi attendo di poter individuare con il vostro contributo.
Queste realtà guideranno il processo, aprendosi a nuove domande che già emergono: la pastorale universitaria, il ruolo dei Centri di pastorale, l’attenzione a specifici ambiti di vita della città.
Attorno a queste comunità continueranno a vivere e a servire altre parrocchie e rettorie, in una logica di collaborazione, integrazione e trasformazione. Le rettorie, in particolare, potranno diventare “oasi di spiritualità, di ascolto e di riconciliazione”, luoghi preziosi per la preghiera, la riconciliazione e l’accompagnamento personale, senza però configurarsi come comunità parallele al cammino e alle scelte delle comunità in cui si trovano, soprattutto riguardo alla partecipazione condivisa ai momenti centrali della vita delle persone e dell’anno liturgico, come il Triduo Pasquale.
Essere Chiesa matrice significa essere un grembo spirituale e pastorale da cui si origina la vita delle comunità collegate. Non è un titolo di superiorità, ma una vocazione a generare e a servire.
Ecco allora la prospettiva: non solo parrocchie che “resistono” ai cambiamenti, ma comunità che li abitano con creatività, diventando semi di futuro. Non solo luoghi di culto, ma laboratori di speranza.
Siamo dunque di fronte a un passaggio non semplice, ma ricco di speranza: un tempo di Grazia. Operare in questo percorso significa passare dalla paura di perdere qualcosa al coraggio di generare qualcuno. Significa smettere di rincorrere i numeri e imparare a coltivare relazioni. Siamo chiamati a seminare futuro, non soltanto a custodire il passato.
