Allegato: La cura della fede – Videomessaggio per le congreghe 2025
Videomessaggio registrato per le congreghe del 2025 (gennaio, febbraio, marzo)
La due-giorni del clero dello scorso mese di ottobre, ha rappresentato obiettivamente un momento di confronto significativo. Grazie ai tavoli di lavoro, rigorosamente intergenerazionali, sono state evidenziate preoccupazioni comuni e desideri di ricominciamento. Il tutto dentro una sana dialettica nella quale il ministero ordinato non perde l’essenziale, ma si adegua meglio alle sfide contemporanee. Nella raccolta dei dati emergono alcuni punti importanti, organizzabili attorno ad alcuni nuclei. Ne ho raccolti almeno 8, anche se poi le congreghe di gennaio, febbraio e marzo si concentreranno di necessità soltanto su 3 di questi nuclei.
1. La figura del presbitero e la sua umanità. Il prete (così come il diacono e come il vescovo) è anzitutto un uomo. Ne consegue che l’espressione istituzionale e ministeriale della sua vita è sempre mediata dalla personalità, dalla visione del mondo, dalla postura rispetto al sacro, dallo stato d’animo, dall’età e dalla qualità dei legami. Ogni missione risente del limite umano e di un inevitabile radicamento nella storia, ed è importante non mascherare, silenziare o negare le proprie fragilità. Un po’ è inevitabile che questo accada: avere un ruolo di cura nella comunità significa anche sentirsi investiti di bisogni e domande che richiedono uno stile capace di esprimere sicurezza e solidità. In ogni caso le difficoltà ci sono e possono generare stanchezze o veri e propri squilibri: eccesso di pressioni burocratiche e amministrative, frenesia dei compiti pastorali, frustrazione per esiti deboli o intermittenti, ansie da prestazione, solitudine di fronte a problemi e questioni, tensioni interne alle comunità, indifferenza della gente, malinconie, paure del futuro.
2. Un ripensamento del sacro e la questione della fede. In questo tempo, il sacro ordinariamente associato alle figure presbiterali smette – o dovrebbe smettere – di funzionare come indice di una separazione tra gli esseri, e presentarsi invece come profondità della vita stessa. Il sacro, in altri termini, non è tanto quel campo salvifico di dominio esclusivo del clero, ma una dimensione profonda da risvegliare nell’intimità e nella biografia di ciascuna persona, attraverso relazioni autentiche e di cura. Si pensi a quel salutare ammonimento che più di un secolo fa R. Guardini esprimeva parlando di “risveglio delle anime”. E aggiungeva: la Chiesa “non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino…, ma una realtà vivente… Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi… Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo”.
3. La centralità delle relazioni. Elemento trasversale a tutti i gruppi è l’enfasi sulle relazioni come dimensione principale del ministero. Molti sottolineano che la qualità dei legami vissuti è decisiva per l’efficacia del ministero, ma anche per il benessere personale del ministro. Questa dimensione relazionale si articola in tre direzioni principali: 1. La fraternità tra presbiteri, grande risorsa ma spesso difficile nella pratica; 2. Il rapporto con la comunità dei fedeli, che richiede autenticità, capacità di ascolto, vera condivisione; 3. La relazione con Cristo, coltivata attraverso la meditazione della Parola, la preghiera personale e comunitaria, la celebrazione dei sacramenti.
4. Le sfide pastorali contemporanee. Il confronto ha evidenziato diverse aree critiche a cui dare particolare attenzione:
a. L’iniziazione cristiana richiede un ripensamento, soprattutto per la crescente distanza tra le aspettative della Chiesa e la concreta realtà delle famiglie;
b. L’accompagnamento delle famiglie appare oggi delicatissimo e complicato, soprattutto per le nuove sfide educative, per le situazioni di persone divorziate e risposate, per quelle in cui compare un vissuto omosessuale;
c. Il rapporto con i giovani viene segnalato come particolarmente critico, per una grave distanza tra i linguaggi, gli interessi e le percezioni del futuro.
d. La gestione delle Unità Pastorali è avvertita come dirimente, perché si tratta di comprendere in quale nuovo orizzonte va prendendo forma la parrocchia e in quale modo si sta cercando di rispondere all’attuale crisi del cristianesimo, dei suoi soggetti e delle sue forme istituzionali.
5. Necessità formative. I gruppi concordano sulla necessità di una formazione che metta nelle condizioni di comprendere e di abitare con saggezza questo mondo, con tutte le sue contraddizioni e i suoi disorientamenti. Questa formazione ideale dovrebbe essere:
a. Finalizzata alla lettura di questo tempo divenuto enigmatico, disorientante e preoccupante. Mancano i criteri ermeneutici per vivere in modo aperto e intelligente i cambiamenti sociali, religiosi, culturali, politici che stanno avvenendo. b. Contaminata: per una riconfigurazione della spiritualità serve un confronto con chi ha competenze specifiche (es. psicologiche e sociologiche).
c. Integrale: dovrebbe essere una formazione che tocchi tutti gli ambiti dell’esistenza, per cui dovrà coinvolgere la vita spirituale, emotiva, culturale e relazionale della persona;
d. Esperienziale: dovrebbe essere una formazione orientata ai problemi pratici che si vivono, possibilmente con modalità laboratoriali e di autentico scambio;
e. Condivisa: dovrebbe essere strutturata come un confronto tra pari, ma anche condivisa con altre prospettive di vita (es. tra clero e laici).
6. Aspetti gratificanti del ministero. Come punti-luce sono citati spesso
a. il rapporto personale con la Parola di Dio e la preghiera
b. le relazioni significative con persone e famiglie della comunità
c. la celebrazione dei sacramenti, in particolare l’Eucaristia
d. i momenti di autentica condivisione fraterna
7. Difficoltà del ministero. Le zone d’ombra includono:
a. Il peso crescente della gestione amministrativa e burocratica
b. La solitudine, il senso di isolamento, la fatica nelle relazioni tra preti
c. Un attivismo che rischia di soffocare la vita spirituale
d. La difficoltà di assumere e di elaborare l’indifferenza religiosa delle persone
e. Un tempo frenetico che non consente di salvare energie per la vita personale, per la propria famiglia d’origine, per le amicizie autentiche.
8. Il difficile rapporto con la contemporaneità. Molti gruppi hanno evidenziato il problema dell’e-sculturazione del cristianesimo e del senso di fatica che attanaglia coloro che hanno dedicato la vita o che comunque si impegnano appassionatamente in pratiche di evangelizzazione. Si tratterà allora di:
a. Esplorare nuovi linguaggi e mettersi in ascolto delle attuali forme di comunicazione;
b. Accettare e assumere la condizione di “minoranza creativa” in questo mondo secolarizzato;
c. Sviluppare competenze per il dialogo interculturale, ecumenico e interreligioso;
d. Ripensare la catechesi sacramentale in un contesto di disaffezione per la pratica religiosa;
e. Mantenere un equilibrio tra fedeltà alla tradizione e necessità di riforma e di rinnovamento.
In conclusione, atteso il fatto che il ministero del prete, del diacono e del vescovo è irrinunciabile, per giunta all’interno di una più diffusa ministerialità, quello che conta per attraversare il cambiamento senza esserne travolti resta la cura della fede. Ricordate la prima omelia in Cattedrale? Dicevo:
“Da oggi sono qui in questa Chiesa di Verona a muovere il primo passo. E che cosa mi prefiggo? Una cosa semplice e alla portata di tutti: ‘vorrei imparare a credere’ (D. Bonhoeffer), per ritrovare il respiro della vita che è Dio”.
E qualcuno dei miei amici di Anagni, mi ha benevolmente rimproverato, dicendo: “Dovevi diventare vescovo per imparare la fede?”. Resto convinto che la cura della nostra fede è la dimensione che non può essere più data per scontata neppure da noi, perché in essa si permane solo a misura che ci si sente in cammino, come ‘visione della realtà’ e modo di “attraversare la vita”, non più universalmente accettata e che si deve essere attrezzati a vivere, perciò, in una solitudine sempre più evidente e in una condizione di crescente irrilevanza sociale. Da questo punto di vista è chiaro che non basta prepararsi a diventar preti per poi esserlo per tutto il corso dell’esistenza. O si continua a crescere – sul piano culturale e teologico, sulla rielaborazione dei propri vissuti personali, sulla qualità delle relazioni umane, sulla vita spirituale – o è ingenuo immaginare di restare autenticamente credenti in un mondo come il nostro.
Alla cura della nostra fede da condividere punta decisamente il nostro cammino di preti, diaconi e vescovi, di cui le congreghe sono un momento qualificante.
Così diamo seguito a quanto ascoltato da papa Francesco lo scorso 18 maggio:
“È bello trovarci in questa Basilica romanica, una tra le più belle d’Italia, che ha ispirato anche poeti come Dante e Carducci. Ed essere qui insieme, il vescovo, preti, religiose e religiosi, e guardare questo splendido soffitto a carena ci fa sentire come dentro a una grande barca, e ci fa pensare al mistero della Chiesa, la barca del Signore che naviga nel mare della storia per portare a tutti la gioia del Vangelo. Questa immagine evangelica ci ricorda almeno due cose sulle quali vorrei soffermarmi con voi: la prima è la chiamata, la chiamata ricevuta e sempre da accogliere; e la seconda è la missione, da compiere con audacia”.
Le prossime congreghe svilupperanno questo tema di fondo in tre passi. Così ai tavoli di lavoro di ottobre faranno seguito le congreghe di gennaio, febbraio e marzo.
Grazie di cuore e buon cammino.