Lo scandalo che spacca il cuore – Anteprima “Poeti Sociali” all’ospedale di Negrar

Lo scandalo che spacca il cuore
Incontro “La salute, bene comune e responsabilità collettiva” – Anteprima “Poeti Sociali”
Sala convegni “Fr. Perez” dell’Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria di Negrar di Valpolicella, giovedì 18 settembre 2025

Edificheresti il tuo regno di benessere e di pace facendo spazio alla sofferenza crudele di un bambino?”. È la domanda scomoda che Dostoevskij fa porre a Ivan Karamazov. È la domanda che oggi ci portiamo nel cuore, come una ferita che non si rimargina. Quando si ammala un bambino, non si ammala solo lui/lei. Si ammala tutta la famiglia. Si ammalano i genitori che non dormono più, che scrutano ogni respiro, ogni movimento e che all’improvviso ritrovano sospesa la loro vita fatta di lavoro e di momenti ordinari. Si ammala il fratello che non capisce perché la casa è diventata così silenziosa. Si ammala la sorella che si sente in colpa per essere sana. Si ammala la nonna che prega e non trova pace. Tutta la famiglia entra in ospedale, anche se solo una piccola creatura porta il braccialetto al polso. Non esistono spiegazioni per il dolore di un/a bambino/a. Non ci sono risposte di fronte a questo assurdo capovolgimento del mondo che ci fa chiedere: “Perché proprio a noi? Perché proprio adesso?”. E il cielo sembra fatto di pietre mute.

Non dimentichiamo una cosa: accanto alle cure mediche, ci sono le cure delle parole. Non solo quelle dolci e rassicuranti, ma anche quelle che danno voce alla collera, quelle che dicono “questo non dovrebbe succedere” e “abbiamo il diritto di essere disperati”. Puntiamo, però, sulle parole che mantengono aperto il futuro quando sembra che non ci sia più futuro. Parole che aiutano a gustare le piccole cose che restano, ogni giorno, anche quando tutto il tempo è scandito dal ritmo di una stanza d’ospedale. La ricerca scientifica lo conferma: le parole che scegliamo di dire modificano realmente il corpo di un bambino. Lo sappiamo da sempre: siamo venuti al mondo in una culla di parole e quelle parole sono inscritte nella nostra carne, in una memoria di cui non sempre abbiamo coscienza ma che ci ha reso quello che siamo. Quelle parole si rianimano in noi ogni volta che la vita si trova in bilico. Sono le nostre risorse per guardare avanti: quando nella notte qualcuno ci ha detto: “Va tutto bene, perché piangi?”. Devono essere parole vere, parole che sanno attraversare la paura senza negarla, che accolgono anche la disperazione senza esserne schiacciate. Parole che non promettono miracoli impossibili ma aprono varchi di possibilità. Parole che dicono: “È difficile, è spaventoso, ma non sei solo/a. Non siamo soli”. Le paure si vincono non perché le neghiamo, ma perché ci teniamo per mano.

Il silenzio di Dio, che tanto angosciava Ivan Karamazov, è uno spazio che ci è affidato per parlare della vita con le favole, con le loro luci e anche con le loro ombre. Le favole ci possono aiutare. Sono preghiera che si fa concreta. Sono speranza che prende corpo e modifica la realtà. “Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi si possono sconfiggere” (Chesterton). Potrebbe sembrare una pietosa bugia di fronte ad una creatura in chemioterapia mentre è solo un modo per dire che non saranno mai da soli nell’affronto della vita, anche quella più a rischio.

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