Commemorazione dei fedeli defunti 2025
(Sap 3,1-9; Sal 41; Ap 21,1-5a.6b-7; Mt 5,1-12a)
“Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace”. Così abbiamo ascoltato dal libro della Sapienza che è un testo tardivo. Quasi sulla soglia del Nuovo Testamento, intorno al II secolo a.C., si fa strada una prospettiva assente da Israele: l’aldilà. La fede in JHWH non comportava altra prospettiva che quella della terra, destinata al popolo eletto. Ma poi? Ci si trincerava dietro un silenzio imbarazzato, una censura elegante, uno sguardo concentrato sull’ al di qua. A pensarci non siamo così lontani da questo lascito e anche la nostra generazione rischia di silenziare la morte, di censurare l’aldilà, di guardare solo al “qui e ora”.
Si continua ad andare al cimitero almeno per i Morti, le famiglie spupazzano i loro pargoli con Halloween che riedita culti antichi e lo trasforma in un carnevale anticipato, ma resta il fatto che nella vita personale il pensiero della morte è ormai censurato. Riaffiora qualche volta in occasione di tragici eventi: da noi la tragedia di Castel d’Azzano, l’ultimo femminicidio sul lago di Garda, le tante vittime sulla strada e, ahimè, purtroppo ancora sul lavoro. Ma tutto, nella nostra società – con i suoi ritmi frenetici, il suo consumismo che sazia e stordisce, i suoi miraggi di successo –, è congegnato in modo da farcela dimenticare. Non abbiamo più neppure il tempo di pensarci! Dobbiamo, invece, ripartire tutti da una nuova consapevolezza, dalla presa di coscienza di questo orizzonte per cui la morte è parte integrante della vita e viceversa. Del resto, questa presa di coscienza costituisce un elemento importante dell’esperienza umana come testimoniano tutte le filosofie che proprio dalla morte traggono lo spunto per svilupparsi e tutte le forme di arte. Forse è dal dialogo con la morte e dalla percezione del nulla che la vita stessa trae la sua ricchezza e la sua gioia, di cui sono fonte incessante lo stupore e la gratitudine di fronte all’esperienza dell’essere.
Gesù anticipò la sua morte spezzando il pane e distribuendo il calice. L’Eucaristia per i cristiani è la forma concreta per vivere nel mistero il passaggio dalla morte alla vita. Se, infatti, la morte è una “pedagoga” per imparare a vivere, la morte di Gesù sulla croce è per noi una “mistagoga”, perché segna “il passaggio a una vita nuova, piena come quella di Dio, eterna e umana al contempo, perché ora anche dopo la nostra morte c’è la resurrezione… La morte è così l’ultima impresa rischiosa che l’uomo affronta, guidato da Cristo verso la grande promessa. La morte di Cristo è insita in tutta la pena e la devastazione, in tutto l’abbandono e il tormento che la morte può significare – ma questo è il rovescio visibile di quel tutto, il cui diritto si chiama resurrezione” (R. Guardini). Credere è scommettere su questo fatto rivoluzionario che è la nascita, la vita e la morte fino alla resurrezione di Gesù Cristo. La morte dunque rimane, ma con l’Apostolo Paolo possiamo esclamare: “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (1 Cor 15,55).
