XXII domenica per annum
(Gv 13,1-13)
Celebrazione delle Cresime – Fittà, sabato 30 agosto 2025
“Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Ciò che colpisce di quell’ultima Cena è il fatto che Gesù all’improvviso si metta a lavare i piedi. Sembrerebbe quasi che il Maestro voglia compiere un gesto che crei sconcerto e, perfino, irritazione, alludendo a quel che ormai è il suo destino. In una parola, anticipare lo scandalo della croce. Per questo interrompe l’atmosfera festosa e carica di ricordi di quella sera di Pasqua, per poi aggiungere: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. Ma che cosa significa questo? Forse che il Maestro ha trascorso la vita a compiere questo gesto umile e da schiavo? Non pare proprio. Questa è l’unica volta e, per di più, il suo atteggiamento è sempre quello del Maestro più che dello schiavo. E allora? Più che fornire uno spunto di umiltà, Gesù intende porre un gesto ‘profetico’. È un’azione sconcertante, che offre la chiave per capire chi è Lui e, quindi, chi è Dio. Di fatto, in questo gesto c’è il segreto di uno che è vissuto per gli altri, e c’è la ri-velazione di Dio, che si mette al servizio dell’uomo. Tutto è talmente scioccante che Giuda e Pietro prendono le distanze da questo atto estremo. Giuda, anzi, si ribella e la sua incredulità sprofonda nella disperazione. Pietro, che presagisce la fine del Maestro, cerca inutilmente di dissuaderlo perché fatica ad accettare che si possa dipendere da qualcuno. Il Maestro però non recede e invita a ‘fare’ altrettanto. Non si tratta tanto di capire e di credere, ma di ‘fare’ come Lui. Intendere il servizio non come una scelta perdente, ma come la scelta umana che va oltre lo scambio e il semplice tornaconto. Dietro la crisi del volontariato oggi non c’è solo il tempo che viene meno con i tempi flessibili del lavoro, ma anche l’equivoco di trasformare il volontariato in un lavoro comunque. Per fortuna c’è gente – credente e non credente – che fa del bene senza altro scopo e questo dono di sé umanizza il mondo. Penso a chi assiste gli ammalati, a chi cresce i ragazzi ben oltre il proprio ruolo, a chi non si risparmia mai, senza dirlo neppure a se stesso, quasi senza accorgersene.
Giovanni sostituisce al racconto dell’istituzione eucaristica il gesto della lavanda. Dietro c’è una persuasione che si fa strada nella primitiva comunità cristiana: senza fare del bene, l’Eucaristia rischia di essere solo un rito vuoto. E viceversa senza l’esperienza dell’amore di Cristo diventa difficile sostenere l’amore per gli altri. Amare è sempre un po’ morire, di quella morte con Cristo che porta però in gestazione la vita di molti. Come in questa tragica poesia datata 23.2.2024: “La bambina il cui padre è stato ucciso / mentre portava un sacco di farina / sulla schiena / continuerà a gustare / il sangue di suo padre / in ogni pane” (Poesie da Gaza).