La meraviglia ci restituisce alla vita – Dedicazione dell’altare a Zevio

Allegato: Dedicazione altare di Zevio

Dedicazione dell’altare (S. Pietro Apostolo – Zevio)
(Gs 8,30-35; Sal 94; Eb 13,8-15; Gv 4,19-24)
Zevio, lunedì 30 giugno 2025

Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. Il dialogo con la Samaritana è un capolavoro che mette in luce l’incomprensione della donna di fronte al mistero di Dio e la pazienza di Dio che non solo soddisfa le attese umane, ma – prima ancora – le suscita. La donna è sorpresa e presto soggiogata dal giovane Rabbì che non esita a parlarle e a chiederle dell’acqua. Quando poi si avvede di chi ha di fronte si spinge a chieder conto di un problema assai dibattuto tra giudei e samaritani. Ma Gesù la costringe a guardare avanti e a prendere coscienza che di fronte a Lui la questione del luogo ormai è superata. Non solo perché Gesù afferma che non è più questione di adorare Dio qui o là, ma perché è altra cosa ormai il culto. Esso è “in spirito e verità”, cioè non dipende dal luogo che decide l’uomo, ma ha a che fare con la potenza di Dio. Gesù è il nostro tempio che sostituisce il santuario del monte Garizim e quello di Gerusalemme. E l’altare che stiamo per dedicare ne è il segno concreto. Verrebbe da chiedersi a questo punto che senso abbia festeggiare come stiamo facendo noi oggi, visto che il luogo è ormai superato e l’incontro non avviene che nell’interiorità di ciascuno, se è aperta allo Spirito di Cristo.

Per rispondere basterà tener conto di un’osservazione empirica. Ciascuno di noi è segnato dallo spazio oltre che dal tempo. Siamo condizionati dal luogo e dall’ora presente. Di qui nasce l’esigenza di avere uno spazio fisico che sia un ’segno’ verso l’oltre. Nasce così la Chiesa che, non a caso, non è tanto il luogo in cui riunire i fedeli che in origine si radunavano nelle case private, ma piuttosto il ‘segno’ che rimanda all’Assoluto. Per questo dopo le persecuzioni cruente l’edificio sacro è orientato a ricreare il contatto tra cielo e terra. Ne fa prova sia l’altezza delle chiese sia il fatto che la chiesa sia orientata ad oriente. Come pure la cupola che innalza l’edificio e richiama la presenza del mistero. Tutti indizi per rimandare ad un ‘oltre’ che simbolicamente richiama a Dio. Allora ha senso festeggiare la dedicazione del nuovo altare perché questo ‘santo segno’ rimanda nella sua bellezza al cielo e definisce così l’orizzonte della terra.Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”, così Gesù sigilla la sua risposta. E lo ripete anche a noi oggi: questa splendida opera è un segno che ci fa sollevare lo sguardo verso il cielo e ci aiuta a ritrovare il senso e l’orientamento della nostra vita. La chiesa con il suo campanile che svetta e la navata che solca il mare della storia è il simbolo dell’uomo verticale. Ciò che resta decisivo è ‘adorare’, cioè restare “senza parole”, dinanzi all’incontro della creazione e cogliere in essa la presenza di Dio. Soltanto la meraviglia e non la sorpresa ci restituisce alla vita. Chi non prova mai meraviglia finisce per pensare solo a sé stesso e si sente isolato. Eppure basta un minuto di meraviglia per essere più liberi, connessi, generosi e avvertire la Presenza che ci abita, di cui l’altare che è insieme arte e natura, è segno.

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