Allegato: Santa Messa Madonna di Lourdes
XXXIV Giornata mondiale del malato
Messa al Santuario della Madonna di Lourdes
(Gen 2,4b-9.15-17 Sl 104; Lc 1, 39-56)
Santuario Madonna di Lourdes, martedì 11 febbraio 2025
“A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”. La domanda stupita di Elisabetta che accoglie Maria dopo il suo lungo viaggio verso Ain Karin rivela la consapevolezza di trovarsi dinanzi ad un incontro inaspettato e insieme rivelativo. Ci si è chiesti come mai tanta fretta da parte della quindicenne Maria. Per accertarsi della gravidanza di Elisabetta e sentirsi così confermata nella veridicità dell’annunciazione? Per sfogarsi, parlando del grande segreto che Elisabetta era l’unica a conoscere? Per poter avere una “difesa” nel caso dovesse venir accusata di adulterio? Sia quel che sia, Maria dimostra una grande sensibilità nel muoversi verso la più anziana cugina, forse meglio ancora la zia, per sperimentare insieme la stessa condizione di attesa. C’è una condizione che accomuna gli umani ed è il senso della sofferenza che presto o tardi visita ciascuno e che ci mette tutti rigorosamente sulla stessa barca. Per questo sentiamo l’urgenza di stare accanto a chi sta male perché come Maria intuiamo che si sta parlando di noi stessi e che l’unica maniera per sopravvivere al dolore è condividerlo. Di qui l’invito che Gesù stesso che ben conosce il soffrire fa a ciascuno di noi: “Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi ed io vi ristorerò”.
Nella scena lucana Maria ascolta e riflette; non parla. Diventa però l’icona di quella relazione di fiducia che è alla base della cura dei malati. Così “la malattia… diventa l’occasione di un incontro che ci cambia, la scoperta di una roccia incrollabile a cui scopriamo di poterci ancorare per affrontare le tempeste della vita” (Messaggio per la XXXIV Giornata mondiale del malato). Lo sguardo è quello che cura ancor prima delle medicine e pone l’altro in condizione di dolore in una situazione che non è più di isolamento. Oggi la slow medicine è quella forma di aiuto che sa ritrovare lo sguardo, la vicinanza, la cura a partire dalla relazione che si stabilisce tra le persone. Non è la “visita del dottore” la sua, ma una prolungata forma di assistenza. Possiamo immaginare Maria che compie le faccende domestiche: pranzo, pulizie, bucato, tessitura per preparare quanto occorre al nascituro. Fa un po’ da infermiera e un po’ da levatrice – compiti tipicamente femminili – nel mentre consola Zaccaria, parlandogli della misericordia del Padre. “I luoghi in cui si soffre sono spesso luoghi di condivisione, in cui ci si arricchisce a vicenda. Quante volte, al capezzale di un malato, si impara a sperare! Quante volte, stando vicino a chi soffre, si impara a credere! Quante volte, chinandosi su chi è nel bisogno, si scopre l’amore!” (Ivi) C’è un bellissimo quadro “The doctor” del pittore Luke Fildes che raffigura un medico vittoriano che osserva la fase critica di un bambino mentre i genitori guardano impotenti dalla periferia. E’ stato usato per rappresentare i valori del medico ideale e le inadeguatezze della professione medica. Ciò che conta è lo sguardo che si fa carico della persona. E’ di questo sguardo che abbiamo bisogno giacché di una “levatrice” c’è sempre bisogno, quando si entra e quando si esce. Dalla vita.
