La forza del profeta – Laboratorio “Credere domani”

Mercoledì della XXI per annum

(1 Ts 2,9-13; Sal 139; Mt 23,27-32)

Laboratorio “Credere domani” – Casa San Fidenzio in Novaglie, mercoledì 27 agosto 2025

 

Sapete pure che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio”. Paolo scrivendo a quelli di Tessalonica usa un doppio registro. Si fa prima presente con un tocco quasi femminile, alludendo al suo amore materno, oblativo: “Siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli” (1 Ts 2,7-8). Poi, come nel frammento appena proclamato, l’Apostolo fa riferimento ad un amore paterno che si fa strada con l’autorevolezza di chi lavora con le proprie mani “notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi”. Così Paolo si svincola da una corrente assai diffusa al suo tempo che era lo gnosticismo. Una eresia che aveva come due risvolti: uno rigorista, l’altro lassista. Il primo condannava il lavoro perché troppo distante dall’attività del puro pensiero. Il secondo evitava il lavoro perché non vale la pena di impegnarsi. Per contro, Paolo esorta a una serietà di vita di cui egli stesso ha dato l’esempio concreto. Il richiamo a “lavorare con le proprie mani” è espressione della vita nuova, dell’ora della salvezza, contrapposto al tempo in cui ozio e disonestà erano segni di realizzazione.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti”. In ogni epoca gli uomini hanno la tendenza ad ammirare gli eroi, specialmente quelli che hanno dato la vita per un ideale. Ammirare però non equivale a imitare. Gli ipocriti, a cui Gesù si rivolge, piangono sulla tomba di quelli che loro stessi hanno messo a morte. Dio non manda profeti solo nei tempi di calamità, ma soprattutto prima della catastrofe, quando la gente si illude ancora che tutto vada per il meglio. Di conseguenza, i profeti vengono percepiti sempre “contro vento”, cioè controcorrente, e quando parlano dei disastri a venire nessuno li ascolta volentieri. Sono considerati delle Cassandre! Ma la forza del profeta sta proprio nella capacità di risvegliare la consapevolezza dell’uomo medio e nel mostrare che non bisogna mai cercare il colpevole di una situazione, cioè il capro espiatorio, ma sempre coinvolgere tutto il popolo. Anche se uno solo ha commesso il crimine, tutto il popolo deve purificarsi. La mentalità individualista di oggi non comprende questo atteggiamento: si è perso il senso della responsabilità comune. Tutto il contrario di quello che si ricava dal testamento del p. Christian De Chergé, priore dell’Abbazia di Tibhirine, ucciso con altri sei monaci trappisti in Algeria (maggio 1996): “Quando si profila un ad-Dio (…) la mia vita non ha valore più di un’altra. Non ne ha neanche di meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito. (…) Amen! Inch’Allah…”.

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