XXVII domenica per annum 2025 (Poeti sociali)
(Ab 1,2-3; 2,2-4; Sal 95; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10)
(Ab 1,2-3; 2,2-4; Sal 95; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10)
Chiesa di San Bernardino in Verona, domenica 5 ottobre 2025
“Accresci in noi la fede!”. È questa l’insolita richiesta dei discepoli cui Gesù non si sottrae, precisando da subito che non si tratta di quantità, ma di qualità. La fede non è una cosa da possedere né un’idea che è acquisita una volta per tutte, ma è un’esperienza vitale che fa compiere azioni anche impensabili, al punto che con una delle sue espressioni iperboliche il Maestro afferma, senza incertezze: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: Sradicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi obbedirebbe”. Oggi in una società in cui l’angoscia si aggira come uno spettro, solo la fede su cui si innesta la speranza, “può farci recuperare quel vivere che è qualcosa in più del sopravvivere” (Byung-Chul Han).
L’alternativa infatti è lasciarsi sopraffare da questo clima di “fine dell’Impero” e abbandonarsi come sul Titanic all’inevitabile. Purtroppo Dio è morto, ma al suo posto si sono presto fatti strada altri idoli che ne occultano il desiderio, soddisfacendo i bisogni basici. La stessa ragionevolezza spesso è soppiantata da un’emotività che sacrifica qualsiasi cosa sull’altare di quello che sento e non di quello che è. Alla fine questa condizione ci ha resi lontani dagli altri, incapaci di avere un punto di vista comune. Senza Dio manca una visione delle cose e si finisce per inseguire il frammento della quotidianità camminando verso il niente. Come aveva intuito lucidamente S. Kierkegaard (1813-1855) all’inizio della modernità: “La nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”.
Chi crede è uno, anzitutto, che vede in anticipo, cioè un visionario; sa dove si va, ma non ne conosce tutte le strade: “È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà” (Abacuc). San Francesco, al di là di facili mitizzazioni, ha trascorso lunghi periodi nello scoramento, nell’isolamento, nel disorientamento. Ma ha saputo attendere. Non ha abdicato a quello che aveva visto. Perché aveva una visione. Chi crede, poi, diventa coraggioso e prudente allo stesso tempo, cioè supera la timidezza, come dice Paolo a Timoteo. San Francesco ha introdotto nella Chiesa stanca e polverosa dei suoi tempi un fremito e una passione che non l’hanno più abbandonata. Chi crede, infine, è libero e disinteressato. È un ‘servo inutile’, come Francesco che ancora vivente accetta di essere sostituito nella guida dell’Ordine, ma non smette di orientarlo e di provocarlo ancora oggi. Non importa che la fede sia tanta. Conta che ci sia. Che noi la si difenda dalle sue contraffazioni per avvicinarci sempre più a Dio e agli altri: “Signore, conserva in me la mia poca fede”. I “Poeti sociali” ci hanno fatto toccare con mano persone che sperano a dispetto dell’angoscia, diventando così “creditori del futuro”. Per contro l’angoscia porta via con sé ogni fiducia, sottrae ogni credito alla realtà, ed è così che impedisce il futuro.
