Giubileo diocesano della famiglia
Centro Carraro, domenica 21 settembre 2025
Nel tempo del Giubileo 2025, siamo chiamati a riscoprire la famiglia come primo luogo dove può germogliare quella speranza che “non delude”. Le famiglie possono diventare spazi privilegiati dove si coltivano i germogli di vita nuova, dove ogni persona può fiorire nella sua unicità e dignità.
La complessità storica, ecclesiale ed educativa che viviamo oggi non permette improvvisazioni, ma ci chiede di abbracciare lo spirito giubilare della liberazione e del ricominciamento. Gli operatori pastorali del futuro devono acquisire competenze specifiche per trasformare le famiglie in “laboratori di speranza”, imparando a riconoscere per esempio quando un comportamento adolescenziale supera la normalità e richiede un intervento specialistico, a comprendere le dinamiche distruttive della cultura della performance che schiacciano intere famiglie, a padroneggiare gli elementi fondamentali di una cultura affettiva di pace e di giustizia.
Fondamentale è anche sviluppare una sensibilità antropologica per leggere le trasformazioni culturali in atto, alla luce della speranza giubilare. La visione dell’umano è profondamente cambiata, sia nell’immaginario delle persone sia nella storia concreta dei popoli. Come pellegrini di speranza dobbiamo saper decifrare questi cambiamenti con lo sguardo contemplativo che sa riconoscere i segni di vita anche nelle situazioni più difficili, comprendendone le radici profonde per accompagnare le famiglie nella costruzione di spazi dove ogni vita può fiorire.
È altrettanto cruciale sviluppare capacità di mediazione tra generazioni che non solo parlano linguaggi diversi, ma vivono pressioni completamente differenti.
La gestione della comunicazione digitale diventa poi essenziale, considerando che per molti giovani rappresenta l’unico canale attraverso cui riescono a esprimere il proprio malessere.
La soglia tra singolare e plurale. La famiglia, al singolare, è solo un’espressione ideale. La realtà è fatta di storie non accorpabili e, soprattutto, di un divenire infinito. In Amoris Laetitia, per esempio, la parola “cammino” compare infatti 56 volte e al numero 325 leggiamo:
“Infatti, come abbiamo ricordato più volte in questa Esortazione, nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare. C’è una chiamata costante che proviene dalla comunione piena della Trinità, dall’unione stupenda tra Cristo e la sua Chiesa, da quella bella comunità che è la famiglia di Nazareth e dalla fraternità senza macchia che esiste tra i santi del cielo. E tuttavia, contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo. Inoltre ci impedisce di giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni di grande fragilità. Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante. Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare! Quello che ci viene promesso è sempre di più. Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa”.
Forse Tolstoj voleva proprio segnalare questa distanza tra l’ideale e la realtà, aprendo così il romanzo Anna Karenina: “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Non voleva dire che le famiglie felici sono un’utopia e che quelle reali sono tutte infelici, ma invitarci a riflettere sul fatto che un discorso sulla famiglia deve per forza sporcarsi di terra e raccontare di tensioni e di passaggi faticosi, anche se forse promettenti. Solo così è possibile che la famiglia diventi luogo in cui si coltiva la speranza di una vita buona.
La sociologa Chiara Saraceno rinforza il concetto: certi modi di pensare la cosiddetta “famiglia naturale” sono ideologici. La famiglia esiste solo dentro una tradizione, una cultura, un contesto. La famiglia è un caleidoscopio dove le stesse tessere – donne e uomini, genitori e figli, giovani e anziani – si ricompongono continuamente in forme nuove. Le famiglie divengono, sanno reinventarsi continuamente attraversando le soglie del tempo che cambia, delle generazioni che si sentono distanti, dei ruoli che si trasformano anche in modo radicale (pensiamo a come è cambiata la presenza e il ruolo delle donne nelle case). Ogni famiglia fa tutto questo a modo suo, con il proprio ritmo, le proprie risorse, le proprie paure, il proprio coraggio.
La famiglia come porta giubilare, una soglia da attraversare
Siamo in un tempo complesso, di grandi trasformazioni e di grande conflittualità dentro le famiglie ma anche nelle scuole, nel mondo del lavoro e certamente anche nel mondo.
Se si vuole leggere e accompagnare questa complessità, occorrono competenze tecniche e formazione evangelica. Come emerge anche dal lavoro che il Cammino Sinodale ha svolto fino a questo momento, questo è un tempo che chiede creatività e coraggio, non solo aggiornamenti superficiali.
Non si può agire efficacemente, dunque, senza aver chiaro che è venuto il momento di pensare e di vivere un nuovo umanesimo. Sarà inutile attivare processi se non si modifica l’orizzonte in cui l’essere umano guarda a quello che sta diventando. Ancora una volta dobbiamo chiederci: che cosa ci umanizza e che cosa ci disumanizza? Questa domanda porta la nostra attenzione in diverse direzioni:
- Passare dalle certezze alle buone domande. Dovranno essere domande che nascono dall’ascolto del reale, con una sorta di rivoluzione copernicana che smette di giudicare le trasformazioni in atto e le interroga con attenzione:
- Come parlano d’amore i/le giovani di oggi e cosa possiamo imparare da loro?
- Quali linguaggi nuovi sta usando Dio per manifestarsi nelle famiglie contemporanee?
- Come possiamo accompagnare situazioni familiari che un tempo non esistevano o erano nascoste?
- Disinnescare la cultura dell’orgoglio che vive di maschere e partire dalla finitezza delle storie. Attraverso le storie noi apriamo laboratori per un nuovo umanesimo che:
- Riconosce nella fragilità una risorsa, non una vergogna
- Vede nella diversità un arricchimento, non una minaccia
- Considera la cura reciproca il senso della vita, non un ostacolo al successo
- Propone la gratuità come alternativa alla logica del profitto
- Cogliere le connessioni tra il mondo privato e il mondo comunitario. C’è una disgregazione ecosistemica, una frammentazione delle vite che complica questo compito formativo. In ogni caso non possiamo più pensare che i problemi (ma forse anche le speranze e le gioie) famigliari siano questioni private e dobbiamo tenere presente ciò che accade a livello:
- Economico: famiglie schiacciate da precarietà lavorativa, costo della vita, impossibilità di progetti a lungo termine. Genitori che lavorano 12 ore al giorno e non hanno tempo per i figli.
- Sociale: individualismo che ha frantumato le reti di sostegno tradizionali. Famiglie isolate che devono cavarsela da sole senza nonni, zii, comunità di riferimento.
- Culturale: perdita di narrazioni condivise sul senso della vita, dell’amore, della generazione. Relativismo che paralizza invece di liberare.
- Spirituale: rimozione del senso, vuoto.
- Ecologico: rapporto malato con la natura che si riflette in rapporti malati tra le persone. La stessa logica estrattiva che devasta l’ambiente, devasta le relazioni.
- Politico: democrazie fragili, conflittualità esasperata…
- Imparare a camminare insieme: ascoltare prima di parlare, personalizzare i percorsi, integrare competenze diverse e, soprattutto, avviare percorsi di prevenzione, oltre che di risposte alle emergenze:
- Accompagnando le coppie giovani prima che insorgano le difficoltà;
- formando all’affettività prima che si creino traumi;
- sostenendo i genitori prima che si sentano inadeguati o disperati.
- Preoccuparsi dell’emergenza educativa: oltre la cultura della performance (vedi lettera Sul limite);
I giovani di oggi stanno affogando. Non nell’acqua, ma in un mare di aspettative che li schiacciano prima ancora che possano scoprire chi sono. La cultura della performance – dai voti scolastici ai like sui social, dalla forma fisica perfetta al curriculum vitae brillante – sta producendo una generazione di ragazzi ansiosi, depressi, che si sentono inadeguati per definizione.
Come operatori pastorali, non possiamo più ignorare questa realtà. Dietro ogni famiglia che accompagniamo ci sono spesso:
- adolescenti con attacchi di panico per l’interrogazione di matematica;
- giovani che si auto-feriscono perché non riescono a gestire le emozioni;
- genitori che scaricano sui figli le proprie ambizioni frustrate;
- famiglie esplose sotto la pressione del “dover essere perfetti”.
- Oltre che educative, le sfide che ci vengono presentate chiedono di passare dalla logica escludente del dentro/fuori a una di implicazione e riconoscimento (coppie conviventi, famiglie separate, legami omosessuali, differenze di genere).
- Il coraggio di sperimentare nuove pratiche, per costruire un nuovo umanesimo nel quale la pastorale famigliare diventa resistenza a ogni disumanizzazione, in alleanza con la scuola, la cultura, l’economia sociale, l’ecologia, una politica solidale.
Le famiglie accompagnate dalla Chiesa devono diventare cellule di umanità nuova che:
- mostrano che un altro mondo è possibile;
- educano figli capaci di pensiero critico e cura reciproca;
- praticano stili relazionali che umanizzano invece di competere;
- si prendono cura della terra per le generazioni future;
- costruiscono ponti invece di muri;
- scelgono la nonviolenza come metodo di risoluzione dei conflitti.
Non si tratta di utopie, ma di esperienze concrete già in atto in molte famiglie che la Chiesa può riconoscere, sostenere, moltiplicare.
Per avviare un cambiamento pastorale
La complessità educativa che viviamo oggi non permette improvvisazioni. Gli operatori pastorali del futuro devono acquisire competenze specifiche per rispondere efficacemente alle nuove sfide giovanili. Questo significa imparare a riconoscere quando un comportamento adolescenziale supera la normalità e richiede un intervento specialistico, comprendere le dinamiche distruttive della cultura della performance che schiacciano intere famiglie e padroneggiare gli elementi fondamentali della psicologia evolutiva per capire come si forma l’identità giovanile nell’era digitale.
Fondamentale è anche sviluppare una sensibilità antropologica per leggere le trasformazioni culturali in atto. I giovani di oggi crescono immersi in codici valoriali completamente diversi da quelli delle generazioni precedenti: dall’individualismo competitivo alla cultura dell’immagine sui social, dalla fluidità identitaria alla crisi delle narrazioni tradizionali. Gli operatori pastorali devono saper decifrare questi cambiamenti senza giudicarli aprioristicamente, ma comprendendone le radici profonde e le implicazioni esistenziali per poter dialogare autenticamente con le nuove generazioni.
È altrettanto cruciale sviluppare capacità di mediazione tra generazioni che non solo parlano linguaggi diversi, ma vivono pressioni completamente differenti. La gestione della comunicazione digitale diventa poi essenziale, considerando che per molti giovani rappresenta l’unico canale attraverso cui riescono a esprimere il proprio malessere.
Punti essenziali: le vite di domani si salvano accompagnando le famiglie di oggi, liberandole dalla cultura della performance, dalla paura del limite, dalla chiusura verso l’imprevisto, dall’anestesia verso le differenze, dall’analfabetismo emotivo e affettivo, dal pensiero acritico.
La famiglia come patrimonio dell’umanità
Espressione di Chiara Giaccardi, secondo la quale la famiglia non è la bandiera di un gruppo politico o di un movimento religioso, ma è un luogo straordinario di relazione e di crescita, un luogo che appartiene a tutti. È “un luogo irrinunciabile di legami tra diversi generi e diverse generazioni. Legami non scelti, che pur tuttavia sono essenziali e fondamentali”. È uno spazio di prossimità, fatto di scelte elettive, ma fatto anche di scelte “per prossimità di destino” perché lì ci esercitiamo ad amare coloro che non ci somigliano e che, magari, strada facendo si trasformano così tanto da diventare per noi irriconoscibili.
Le famiglie sono soglie essenziali, luoghi di sperimentazione dell’amore. Lo sono anche quando sono fragili, imperfette, tese. Sono sorgenti di resilienza perché sostenute dalla qualità autentica dei legami. Le famiglie sanno integrare l’inedito, riparare le ferite, ripartire dalle sconfitte. Si adattano, si reinventano, si trasformano. È questa la loro essenza: sono luoghi che hanno il coraggio di essere soglia e di restare sulla soglia, affinché le libertà possano maturare.
Una famiglia che si chiude, che si associa attorno al proprio piccolo interesse, che si prende cura solo del proprio giardino, tradisce la propria natura più profonda. La famiglia è tale se in risonanza con il mondo, con la cultura, con tutto ciò che vivono le altre famiglie e le famiglie altre. La famiglia è un luogo di intimità ma è anche un luogo politico che racconta il mondo, in infinite sfumature.
Non c’è un modello perfetto di famiglia, ma c’è una misura che le dà forma: si tratta di prendersi cura dei legami e di rilanciare, dentro e fuori, l’amore che vi circola e la speranza nel futuro.
Per continuare…
A compromettere la tradizione cristiana non è la novità di certe trasformazioni, ma la nostra progressiva individualizzazione. È per questa solitudine che, per dirlo con Marc Augé, la paura della vita ha rimpiazzato la paura della morte.
“Tutta la nostra vita è scambio e passaggio. Per attraversare passaggi, per completare scambi serve lasciare la presa e oltrepassare la soglia. La vita è costellata di questi passaggi e nessuno può superarli da solo. Siamo generati a dare fiducia attraverso altri che ci hanno dato fiducia. Servono ‘traghettatori’ per la nostra vita, serve che diventiamo ‘traghettatori’. Il ‘traghettatore’ di Galilea si interessa prima di tutto di questa fede” (Christoph Theobald, Trasmettere un vangelo di libertà).
