Allegato: Giornata della memoria 2025
Giornata della memoria
(Intervento sul portale www.chiesadiverona.it)
Lunedì 27 gennaio 2025
“La banalità del male” è la conclusione sconsolata cui giunge Hannah Arendt prima sotto forma di corrispondente del New Yorker e poi sotto forma di un volume, all’esito del processo intentato al gerarca nazista Adolf Eichmann. Scrive la Arendt con parole affilate come lama:
“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai così ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità, né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso ‘sfida’ come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale”.
A pensarci, anche i nazisti erano gente banale; l’Olocausto non è stato prodotto da qualche forza demoniaca, ma è l’effetto di una superficialità che recide la profondità e l’essenza stessa dell’umano, limitando l’orizzonte morale ed emotivo a quanto appare in superficie, senza percepire l’abisso in cui si sprofonda. Il “fungo” velenoso da cui guardarsi anche oggi si chiama “indifferenza”, anzi “globalizzazione dell’indifferenza” (papa Francesco), che è alla base di un mondo che esaspera i conflitti, accentua le differenze, scarta quelli che non sono utili. E non se ne scandalizza affatto. La Arendt insegna, peraltro, a coltivare il “pensiero” come fosse un essere vivente, come una forza in caccia di senso, un senso che di fronte al male e alla sua banalità non può essere rinvenuto. Perché il senso non abita la superficie delle cose, non lo fa col male e tanto meno col bene. Fare memoria dell’Olocausto non è solo tornare a quel che accadde, ma consiste nel far emergere un “pensiero” su altri drammi che si consumano sotto i nostri occhi (fame, sottosviluppo, questione ambientale, guerre) senza che ce ne diamo più pensiero. La Arendt, infine, fissa un altro punto nel suo ragionamento: il fatto che solo il bene possa abitare la profondità umana e, in quanto tale, essere “radicale”. Ma anche il bene subisce la superficialità: quel rifuggire la profondità delle cose che in passato vestiva i panni del silenzio e della connivenza verso l’agire nazista oggi si trova a proprio agio con altre piccole/grandi derive di quella stessa banalità. Una di queste oggi è la retorica dei buoni sentimenti, senza mai entrare nella carne viva dei problemi. Ci è chiesto dopo il pensiero, un impegno concreto ed esigente che si chiama responsabilità.
Come si ricava da uno scritto di un martire del nazismo, il teologo evangelico D. Bonoeffer (1906-1945), in Dieci anni dopo, nel 1942: “Per chi è responsabile la domanda ultima non è come me la cavo eroicamente in quest’affare, ma quale potrà essere la vita della generazione che viene”.
È questa la domanda che orienta il pensiero e l’azione non verso di sé, ma verso gli altri. Non più la banalità del male, ma la profondità del bene.