Allegato: Ingresso don Fabio Bejato a san Zeno di Mozzecane
Messa di ingresso a san Zeno di Mozzecane di don Fabio Bejato
San Zeno in Mozzo, giovedì 19 dicembre 2024
(Gdc 13,2-7.24-25a; Sal 71; Lc 15,5-25)
“Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni”. Elisabetta e Zaccaria fanno il paio con Manoach e “sua moglie (che) era sterile e non aveva avuto figli”. Secondo le conoscenze scientifiche del passato la sterilità era tutta colpa della donna che cumulava su di sé una sorta di maledizione divina, oltre a una sorta di stigma sociale che ne aumentava la solitudine e l’amarezza. La madre di Sansone e quella di Giovanni il Battista svelano il dolore della donna che non riesce a diventare tale con la maternità e vive questa condizione con un senso di inadeguatezza e di colpa. Essere donna ed essere madre infatti non sono due cose contrapposte, ma due facce della stessa medaglia. Per questo, la sterilità non è una colpa sul piano fisico, lo diventa invece quando assume i tratti di una società che è priva di futuro. Come ai nostri giorni, quando viene meno l’apertura alla vita che garantisce non solo la sopravvivenza della specie, ma la creatività e la fecondità del nostro tempo. Qui in gioco è la capacità di sporgersi oltre sé stessi e concepirsi non in modo autocentrato, ma aperti a quello che bisogna preparare perché la vita si espanda oltre di noi.
“Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo”. L’angelo che appare a Zaccaria, intento a svolgere il suo servizio sacerdotale nel giorno dello Yom Kippur (il Giorno dell’Espiazione), chiarisce il senso di questa sterilità culturale e sociale che ci sta rendendo tutti meno generativi. È una questione di fiducia nella promessa e un rinchiudersi nella paura e nell’esitazione di chi non scommette più sulla vita. Siamo diventati più sensibili alla morte che alla vita e rimaniamo sconcertati davanti alla speranza, al punto di sentirci più al sicuro nella desolante certezza delle nostre convinzioni. Per contro, la vicenda di Sansone e quella del Battista ci dicono che Dio esaudisce al di là delle nostre attese. Mentre noi progettiamo secondo il buon senso e dentro il prevedibile. Sta in questo atto di fede che è divenuto così estraneo al nostro mondo segnato dalla paura e dalla mancanza di rischio, la strada per ribaltare una situazione priva di prospettiva.
Sia Sansone che Giovanni sono “consacrati” al Signore e hanno la missione di preparare la via al Messia. Si tratta di sottrarsi alla paura, facendo leva in Dio, come Maria che si fida ed audace lascia fare a Lui. Soltanto un cuore sorretto dall’amore riesce a colmare la distanza tra legame e desiderio in cui consiste la vita, secondo le parole di R. Guardini: “Vita è fecondità. E tanto più è viva la vita, quanto più grande è la sua forza di dare ciò che ancora non esiste (…) non c’è mai niente di finito, tutto è in divenire sempre nuovo. L’ultimo sigillo della vitalità è la forza d’essere, ad ogni istante, nuova”. Questa sarà la tua missione, caro don Fabio, in questa nuova comunità che si accompagna a quella di Mozzecane per far nascere la vita anche qui.
