Allegato: Mercoledì della I settimana per annum – Incontro preti giovani
Mercoledì della I settimana per annum
Incontro con i preti giovani
Casa incontri Roverè Veronese, mercoledì 15 gennaio 2025
(Eb 2,14-18; Sal 40; Mc 1,29-39)
“Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura”. Nel descrivere che tipo di sacerdozio è quello di Cristo, la lettera agli Ebrei fa capire che si tratta di un vincolo forte per il quale Gesù farà sua la causa dell’uomo e se ne farà carico. La “stirpe di Abramo” nell’ottica del NT, non sono tanto i discendenti carnali del patriarca, ma coloro che sono legati a lui per la fede (cf. Rm 4; Gal 3), cioè i credenti di tutti i tempi. Ma chi è il sacerdote allora? La pagina evangelica lo svela.
“La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano”. Il gesto centrale di Gesù è scandito da tre verbi, da due participi e un verbo principale. Gesù, il Maestro, fa alzare l’ammalata, prendendola per la mano. In questo gesto familiare si nasconde un’anticipazione della vittoria sulla morte. I miracoli di Gesù non sono mai effetti spettacolari, ma gesti di solidarietà e di fraternità che fanno intuire da che parte il Regno di Dio entra nel tessuto mondano. Questo segno da alcuni ritenuto insignificante tra quelli compiuti dal Maestro, è posto tuttavia nell’economia del vangelo marciano come il primo miracolo. Dovrebbe servire come quadro interpretativo di quelli che seguiranno. Che cosa suggerisce nella sua apparente banalità questo primo miracolo?
La prima cosa che suggerisce è che la solidarietà è sempre concreta e passa per il corpo delle persone che va toccato per essere sanato. Ciò che non è assunto non è salvato. Si ripropone qui un dilemma rispetto all’identità del pastore oggi. Questa è segnata soprattutto dall’essere o dal fare? Il prete è l’uomo del sacro che sta a parte rispetto al fluire degli avvenimenti oppure è l’assistente sociale che sta dove nessuno arriva?
La seconda cosa che suggerisce la guarigione della suocera di Pietro è che al deficit si reagisce con un surplus di cura. Ma la cura non è mai semplicemente un fatto fisico, materiale. Sempre ha bisogno di una rilettura più a monte. Anche la prassi più trasparente ha bisogno di una verità che la illumini e la orienti: altrimenti è cieca. Ha bisogno di una carica di speranza, per non cedere di fronte agli ostacoli. Ha bisogno di una forza superiore che rende possibile anche l’impossibile.
La terza cosa, dunque che suggerisce il breve brano evangelico è che la preghiera è la prima “azione” del pastore. Oggi però la preghiera è in crisi sia per il senso di autosufficienza dell’uomo moderno, sia per l’incapacità di stare in dialogo. L’uomo di oggi è arido e freddo con i suoi simili e pure di fronte al mistero. Ma, se vuole garantirsi una continuità nella fede, se crede ancora di appartenere all’Altro, a Dio, deve stare gratuitamente in disparte e attendere. Non più un corvo come per Elia, ma lo Spirito al mattino e alla sera verrà a dargli il cibo, il pane del deserto, la preghiera. Ritrovare l’equilibrio tra essere e fare non è solo questione di identità, ma è il segreto del pastore.
