Allegato: III domenica di Avvento 2024
Pizzoletta, sabato 14 dicembre 2024
III domenica di Avvento 2024
(Sof 3,14-17; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18)
“Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!”. Più si avvicina il Natale e più si moltiplicano gli inviti alla gioia, quasi un obbligo che si impone a tutti e la cosa per qualcuno diventa insopportabile. Ma è mai possibile la gioia per comando? Non è forse sempre più diffusa una nuova forma di malessere psichico che va sotto il nome di ‘cherofobia’ e cioè “la paura della felicità”? In effetti, si coglie tra gli adolescenti un diffuso clima di paura rispetto alla gioia, al punto che molti mettono il freno a mano pur di non coinvolgersi per paura di rimanere delusi. Ma così crescono generazioni impaurite che vivono al di sotto dei propri desideri. A Natale, però, bisogna “alzare la mangiatoia” e provare a vedere se esista la gioia e in che modo è possibile sperimentarla? Stando a quelli che avvicinano il Battista la domanda potrebbe essere: “che cosa dobbiamo fare” per provare gioia? E la risposta sta in tre situazioni evocate dalla Parola proclamata.
La prima sta nella condivisione di ciò che si ha e di ciò che si è: “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”, afferma il Battista. La gioia non fiorisce dall’autoisolamento e tantomeno dallo starsene per proprio conto perché – come ammonisce la sapienza popolare – “chi mangia da solo si strozza”, oltre ad ingozzarsi inutilmente. Ritrovare questa apertura aiuta a ritrovare la gioia che è impossibile nel chiuso angusto del nostro privato.
La seconda e la terza stanno nella misura e nella sobrietà. Dice il Battista ai pubblicani: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato” e ai soldati: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”. Anche chi vive situazioni “pericolose” può alimentare processi di giustizia con cui il mondo si rimette in sesto.
Da dove, dunque, può nascere la gioia? Stando al Battista nasce sempre dal diminuire sé stessi, dal decentrarsi, dallo spostare altrove l’attenzione rispetto a sé stessi. Il Battista in persona vive questa metamorfosi che ne trasforma il volto da irato ad affabile. La mitezza è oggi assai rara perché tutti preventivamente attaccano e stanno sul piede di guerra, della serie “chi mena per primo mena due volte” (sic!). Sembrerebbe non ci sia spazio per la macrotymia, cioè per la “longanimità”, nel senso di chi sa guardare sempre “più lontano” rispetto all’angusto presente. La gioia nasce da questo “sguardo lungo” e non circoscritto all’attimo fuggente. Colui che, come il Battista, sa volgersi verso il Messia, libero da sé stesso, al punto da lasciar che i suoi discepoli vadano ormai dietro al Maestro, scopre la gioia come libertà da sé stessi. Dalla mitezza alla gioia il passo è breve. Questa comunità che vide la costruzione della sua chiesa esattamente 70 anni fa è stato uno spazio e ancor prima un tempo di educazione a questa amabilità che rende i cristiani non solo credenti, ma credibili.
