La spiritualità nell’infanzia (Incontro Fism)
Auditorium Oniverse in Dossobuono, sabato 8 novembre 2025
Buongiorno!
Accompagnare le bambine e i bambini nei loro primi passi nel mondo, custodire le loro prime scoperte, accogliere le loro prime domande è la vostra missione. E in questo lavoro quotidiano, spesso faticoso, c’è un compito delicatissimo: nutrire la vita spirituale che già abita nelle piccole vite.
- “Lasciate che i bambini vengano a me”: guardare con gli occhi di Gesù
Nel Vangelo di Marco, c’è una scena che dovremmo portare sempre nel cuore. I discepoli cercano di allontanare i bambini che vengono portati a Gesù. E che cosa fa Gesù? Si indigna. È uno dei pochi momenti in cui il Vangelo usa questo verbo forte per descrivere la reazione di Gesù. E dice: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio».
Fermiamoci su queste parole. Gesù non dice che i bambini entreranno nel regno quando saranno grandi, quando avranno imparato il catechismo della legge, quando saranno pronti sul piano affettivo e culturale, quando avranno ricevuto tutti i sacramenti. Dice che il regno già appartiene a loro. Già adesso. Non dobbiamo costruire in loro la capacità di accogliere Dio – ce l’hanno già. I bambini non sono progetti incompiuti di una storia di cui noi scriviamo le pagine mancanti, non sono anime vuote da riempire con qualche perla di saggezza o con qualche informazione: sono portatori di una verità spirituale che noi adulti spesso abbiamo smarrito e che spesso nemmeno riconosciamo nelle vite altrui.
Anzi, Gesù capovolge tutto il discorso e dice a noi adulti: «Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». Dunque siamo noi che dobbiamo imparare da loro! Non è la solita pericolosa inversione di ruoli. Non si tratta di rinunciare alla propria autorevolezza, di comportarsi come se non avessimo responsabilità, di fare i bambini con i bambini. È piuttosto un recupero dello sguardo dell’infanzia – uno sguardo che tempo fa era anche il nostro: fiducioso, aperto, capace di meraviglia –, che diventa ora anche per noi la porta d’accesso al mistero di Dio. Con quello sguardo noi siamo come bambini, con quello sguardo noi educhiamo i bambini.
Questo ribaltamento ha conseguenze enormi per il lavoro educativo. Se il bambino possiede già una vita spirituale autentica, il vostro compito non è crearla, ma riconoscerla, rispettarla, custodirla e sostenerla. Non si tratta di proiettare sui bambini le nostre categorie religiose da adulti, ma di scoprire che esiste una spiritualità infantile, originaria e genuina, che rivela qualcosa anche a noi.
- Il bambino come maestro: la lezione di Maria Montessori
Quello che il Vangelo proclama come verità teologica, Maria Montessori lo ha riscoperto come evidenza pedagogica. Nel suo libro L’autoeducazione racconta infatti di un bambino di sette anni, cresciuto in una famiglia non credente, al quale un amico di famiglia aveva spiegato l’evoluzione secondo Darwin. Il bambino ascolta con attenzione, poi chiede: «E il primo essere da chi viene?». «Si è formato a caso», risponde l’adulto. E il bambino scoppia a ridere e dice alla madre: «Ma senti che sciocchezza! La vita che si forma a caso? Questo è impossibile. È Dio!».
Questo bambino, senza alcuna particolare formazione religiosa, manifesta spontaneamente quella che Montessori chiama “connaturalità con Dio”. Non è frutto di catechismo, ma di una percezione diretta, quasi istintiva: la vita non può essere frutto del caso. Forse è proprio questo che Gesù intendeva quando diceva che ai piccoli sono rivelate verità nascoste ai sapienti.
Montessori parla di un vero e proprio “periodo sensitivo religioso”, una fase dello sviluppo in cui i bambini sono particolarmente aperti alla dimensione spirituale. In questi bambini, scrive, non si è ancora formata “quella rozza scoria fatta di tenebre, che rende così difficile all’uomo adulto di abbracciare i misteri dello spirito con la semplicità del bambino”.
- L’errore che dobbiamo evitare: educare come se Dio non ci fosse
Care educatrici e cari educatori, dobbiamo essere onesti: troppo spesso educhiamo i bambini come se la dimensione spirituale non esistesse. Ci concentriamo sulle competenze cognitive, sulle abilità sociali, sul successo scolastico, e dimentichiamo quella che è forse la dimensione più fondamentale dell’essere umano: l’apertura al mistero, la capacità di stupirsi, il senso della promessa che abita ogni vita.
Questo non è solo un errore pedagogico, è un tradimento evangelico. Se “a chi è come loro appartiene il regno di Dio”, allora trascurare questa dimensione, che poi si atrofizza, significa rubare ai bambini la loro eredità più preziosa. Significa impedire loro di “venire a Gesù”, proprio quella cosa per cui Gesù si indigna con i discepoli.
Far fiorire una vita chiede attenzione al mistero, alla grazia. La spiritualità non è solo “religione”: è quella dimensione dell’esistenza in cui il bambino si riconosce amato, degno di rispetto, capace di amare a sua volta. È la consapevolezza di essere più grandi delle proprie funzioni, di valere per quello che si è e non per quello che si produce. È sentirsi parte di un disegno più grande, chiamati per nome. È sentirsi addosso la cura di Dio, una cura che ti cerca finché non ti trova, come fanno le madri e i padri…
Senza questo nutrimento essenziale, la vita rimane incompiuta. Un bambino che cresce senza educazione spirituale è come una pianta che cresce senza luce: potrà svilupparsi e diventare enorme, ma probabilmente sarà fragile, incapace di riconoscere il proprio senso e la propria destinazione.
- Non catechismo precoce né attesa inerte, ma accompagnamento spirituale
Attenzione: riconoscere che il bambino ha già una vita spirituale non significa catechismo precoce ma non significa nemmeno che tutto funzioni automaticamente. Significa benedire la vita, come fa Gesù.
Gesù non “istruisce” né allontana i bambini che vengono a Lui: li benedice. È un gesto che riconosce ciò che già c’è, che conferma e rafforza una grazia già presente, che custodisce una promessa già scritta nella loro carne.
Si tratta di esserci, di farsi trovare, quando loro si avvicinano con quelle domande che spuntano verso i tre/quattro anni: «Dov’ero prima di nascere? Da dove vengo? Dove andrò?». Non sono domande casuali o superficiali, ma il segno di una ricerca profonda, di un desiderio di sentirsi in buone mani, di scoprire di essere riconosciuti e amati.
Il vostro compito, allora, diventa creativo ma preciso: si tratta di accogliere queste domande con rispetto, di creare spazi dove possano essere espresse, di accompagnare i bambini a scoprire che sì, c’è Qualcuno che li ha chiamati alla vita, che li conosce per nome, che li ama.
- Cosa stiamo riservando ai nostri bambini?
È una domanda urgente che dobbiamo porci. Che mondo abbiamo costruito per i bambini e le bambine di oggi? Quale visione della vita stiamo trasmettendo?
Per alcuni di loro, traumatizzati da guerre e violenze, stiamo comunicando che essere al mondo significa avere paura, combattere, difendersi. A questi bambini l’infanzia viene rubata, e con essa quella fiducia originaria nella bontà della vita che il Vangelo chiama “fede”.
Per altri bambini, apparentemente più fortunati, il pericolo è diverso ma non meno grave. Li riempiamo di attività, stimoli, aspettative al punto che non sanno più nemmeno giocare insieme. Li sovraccarichiamo di impegni, soffocando quella capacità contemplativa, quel senso della gratuità, quello spazio di silenzio e di tempo libero che sono essenziali per la vita spirituale.
- Custodire la fiducia: “Meglio una pietra al collo”
Il bambino è naturalmente vicino a Dio perché vive nella fiducia. Si affida spontaneamente, crede nella possibilità del dono, attende con speranza. Questa è la sua grazia originaria: una fiducia di base nella bontà della vita. È quello che nella teologia di Christoph Theobald è chiamato “fede elementare”. È la fede nel suo nucleo più essenziale e immediato.
Quando questa fiducia viene tradita, non stiamo solo ferendo psicologicamente un bambino, stiamo compiendo uno scandalo nel senso evangelico. Le parole di Gesù sono durissime: «Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare».
Lo scandalo non è solo l’abuso fisico – già orrendo – o l’abuso psicologico – altrettanto orrendo –, ma ogni forma di violenza contro la vita spirituale del bambino: la negazione, il soffocamento, l’indifferenza, il cinismo. Tradire la fiducia di un bambino, deludere sistematicamente la sua attesa di bene, negare le sue domande esistenziali: anche tutto questo è scandalo.
In questo senso, anche l’indifferenza educativa verso la dimensione spirituale è una forma di tradimento. Crescere un bambino come se Dio non esistesse, come se la vita non avesse un senso che la trascende, come se tutto si riducesse a prestazione e successo: anche questo è scandalo, forse il più diffuso nella nostra cultura fatta di programmi da svolgere e di traguardi da raggiungere.
- “Convertirsi” per accompagnare: ritrovare il bambino/la bambina che siamo stati
Gesù ci dice: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli». “Convertirsi” significa “tornare indietro”, ma nel senso di ri-vedere le cose: guardarle un’altra volta ma farlo diversamente, come se le vedessimo solo adesso, nella loro misteriosa meraviglia. Il progresso non è legato all’accumulo di conoscenze, di tecniche, di potere, ma è tornare liberamente a recuperare qualcosa che abbiamo perso.
Diventare come bambini significa recuperare:
- La fiducia di base – quella capacità di aprirsi al futuro senza essere paralizzati dalla paura
- Il desiderio di sapere – quella curiosità incantata che cerca autenticamente la verità
- La capacità di fidarsi – lasciarsi toccare dalla bontà degli altri senza cinismo
- L’aspettativa del bene – vivere nell’orizzonte della speranza piuttosto che del sospetto
- La tenacia – quella capacità di chiedere con insistenza, certi di essere figli amati e ascoltati
Il bambino/la bambina che siamo stati una volta è ancora lì, dentro di noi, forse sepolto/a sotto strati di ferite, delusioni, difese. Ritrovare questa piccola creatura non è esercizio nostalgico ma compito spirituale. È un cammino di guarigione necessario per accompagnare i bambini di oggi.
Come possiamo riconoscere e rispettare la spiritualità dei bambini se abbiamo rinnegato quella parte di noi? Come possiamo proteggerla in loro se l’abbiamo lasciata morire in noi stessi?
C’è una bellissima circolarità evangelica: accompagnando i bambini, noi adulti possiamo ritrovare la strada verso il nostro stesso cuore. I bambini diventano nostri maestri. Ci insegnano di nuovo a stupirci, a fidarci, a sperare. Ci mostrano come si vive da figli davanti al Padre.
- La comunità educante: vivere la spiritualità insieme
La spiritualità non è mai questione solo personale. Il bambino scopre Dio non solo nell’intimità del suo cuore, ma anche nel volto degli altri, nella qualità dei legami, nell’esperienza concreta di una comunità che vive secondo valori evangelici. Quando un bambino cresce in una comunità educante dove si praticano la pace, la giustizia e la fraternità, sta facendo esperienza del Regno di Dio. Non come teoria astratta, ma come realtà vissuta, tangibile, quotidiana.
La pace non è solo assenza di conflitti, ma quella capacità di abitare insieme le differenze, di risolvere le tensioni senza violenza, di costruire spazi dove ciascuno può essere sé stesso senza timore. La giustizia è riconoscere a ciascuno la sua dignità, dare a ognuno ciò di cui ha bisogno, non lasciare indietro nessuno. Quando una comunità educante pratica la giustizia – attenzione ai più fragili, equità nelle relazioni, cura di chi è in difficoltà – il bambino impara che la vita buona è quella condivisa. La fraternità è il riconoscimento che siamo tutti figli dello stesso Padre, quindi fratelli e sorelle. Quando un bambino sperimenta autentiche relazioni fraterne – dove si è accolti, ascoltati, sostenuti – sta vivendo quella che Giovanni chiama “comunione”.
La vostra scuola materna non è solo un luogo di apprendimento, ma può diventare icona del Regno, segno profetico di un mondo diverso possibile. E il bambino, crescendo in questo ambiente, non solo riceve educazione spirituale, ma diventa egli stesso costruttore di comunità, operatore di pace.
Conclusione: La vita che inizia è già benedetta
Vorrei concludere tornando all’immagine da cui siamo partiti: Gesù che prende i bambini tra le braccia e li benedice. Questo gesto racchiude tutto il senso di un’educazione autenticamente cristiana. Non è Gesù che “fa diventare buoni” i bambini con la sua benedizione, è Gesù che riconosce, conferma e rafforza ciò che già c’è. Il bambino non viene “riempito” di grazia: la grazia lo ha già raggiunto, lo ha preceduto, lo abita. La vita che inizia è già benedetta. Questa è la verità fondamentale: il bambino non è progetto incompiuto, non è vuoto da riempire. È portatore di una promessa, custode di un mistero, tempio di una Presenza.
«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Questa promessa di Gesù vale anche – e forse specialmente – per i bambini. Dio non aspetta che crescano per iniziare a operare in loro. La grazia non è differita. Dio abita già quella vita nascente, parla già a quel cuore bambino, si rivela già a quegli occhi limpidi. Educare diventa allora custodire una promessa già scritta nella carne. Non si tratta di fabbricare credenti, ma di proteggere e nutrire quella naturale apertura al trascendente che è dono originario. Non si tratta di imporre certezze, ma di custodire quella capacità di stupore e di domanda che è la vera porta del mistero.
Care educatrici e cari educatori, voi siete chiamati a questo compito alto e bellissimo: riconoscere, onorare, custodire, nutrire la vita spirituale che già abita nei bambini che vi sono affidati. Non dovete insegnare loro a cercare Dio: dovete aiutarli a non perdere quella naturale capacità di trovarlo che già possiedono. Il mistero non è problema da risolvere, ma promessa da accogliere. E la promessa è già qui, già operante, già scritta nel volto di ogni bambino che vi guarda con fiducia e vi chiede, con le parole o con il silenzio: aiutami ad avvicinarmi a Dio da me. Che la vostra risposta sia degna di questa domanda. Che il vostro accompagnamento sia fedele a questa fiducia. Che la vostra educazione sia all’altezza di questa benedizione già donata, di questa grazia già operante, di questa vita già amata da Dio “prima della fondazione del mondo”.
