Allegato: Esequie don Domenico Romani
Esequie di don Domenico Romani
(Mc 6,45-52)
Chiesa di Santo Stefano in Verona, giovedì 9 gennaio 2025
Dopo che i cinquemila uomini furono saziati, Gesù costrinse i sui discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva. La partenza forzata dei discepoli, insieme ad una qualche forma di nervosismo che si coglie in quel verbo «costrinse», sta ad indicare probabilmente una connessione con il miracolo della moltiplicazione dei pani. Come effetto dell’evento straordinario, infatti, Gesù viene acclamato come il capo della liberazione. La sua figura viene ricondotta a quella che potremmo definire un’ideologia messianica politica. Per questa ragione Gesù, prontamente, si sottrae a una tale forma di cattura, spinge i suoi dall’altra parte del lago e lui stesso si ritira sul monte a pregare. Di fatto nella redazione attuale del Vangelo di Marco che abbiamo appena sentito proclamare, l’episodio di Gesù che cammina sul lago nel cuore della notte è una sorta di prolungamento del miracolo dei pani. Entrambi gli episodi, infatti, trovano i discepoli meravigliati e col cuore indurito, come annota Marco. Dentro di sé, ci dice, erano fortemente meravigliati perché non avevano compreso il fatto dei pani. Il loro cuore, appunto, era indurito. Di quale incomprensione si tratta, sia nel caso della moltiplicazione dei pani, sia in quel camminare sulle acque gelide del lago nel cuore della notte? L’incomprensione nasce dall’interrogativo dei discepoli che, di fronte a questi gesti portentosi, si interrogano su chi sia veramente colui col quale convivono ormai da anni. In altre parole, l’incomprensione nasce dalla domanda su quale sia la vera identità di Gesù. Non è possibile infatti capire i suoi gesti e le sue parole fino a quando non si è compreso chi è Gesù, fino a che non si è penetrati nel suo cuore. E, a proposito del cuore, vengono le parole che abbiamo ascoltato nella prima lettera di Giovanni, testo redatto presumibilmente verso la fine del primo secolo, che esprime una consapevolezza matura da parte della seconda generazione dei cristiani. Vi abbiamo sentito pronunciare parole che rivelano come nell’amore non c’è timore. Anzi, l’amore perfetto scaccia il timore. Il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore. Quanto rivoluzionarie sono queste parole a prenderle sul serio, perché c’è da sconvolgere un’immagine che spesso nei nostri pensieri ancora alberga nei riguardi di Dio. Sì, anche noi forse siamo eredi di una logica secondo la quale il rapporto con Dio è ispirato alla logica del do ut des. Come dire che noi siamo buoni e perciò Dio ci vuole bene. Mentre la logica che qui viene messa in evidenza è esattamente il contrario: è perché Dio ci vuole bene che noi possiamo provare ad essere più buoni, perché Dio ci ama possiamo diventare migliori. Accorgersi di questa priorità, che ha a che fare con l’amore di Dio, significa non ridurre tutto ad una questione di buona volontà e neanche di irreprensibilità orale, ma scoprire che questa presenza dell’amore di Dio che è in noi illumina e sostiene il nostro cammino. Ma da dove nasce questa sicurezza affettiva, per cui Dio non è contro di noi? Nasce, come abbiamo ascoltato, solo dall’intimità e dalla familiarità con Dio che ci ha donato il suo spirito e così ci ha resi persuasi che chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. Alla fine, la paura da un lato o la fiducia si contendono il nostro cuore, che può indurirsi oppure può essere all’origine di un altro modo di stare al mondo. Ed in effetti dentro questo tumultuoso movimento della storia, che assomiglia molto alle acque gelide nel cuore della notte, è facile essere sopraffatti dalla paura che ci rende preda di fantasmi e qualche volta di fantasmagorie. Mantenere al contrario la lucidità e la calma per affrontare sempre, di nuovo, la traversata, richiede il cuore docile ad immagine di quello di Cristo del quale, dobbiamo pur dirlo, don Domenico è stato una trasparente immagine. Sì, don Domenico è stato una trasparente immagine del cuore di Cristo in almeno tre caratteristiche. La prima la sua mitezza, la seconda la sua razionalità, la terza la sua creatività. La mitezza, innanzitutto, di don Domenico, attraverso la sua sensibilità raffinata che lo rendeva particolarmente ospitale nei riguardi di ciascuno e di tutti, e soprattutto aperto alle grandi questioni della pace e della giustizia. Poi la razionalità, con quella passione per l’intelligenza delle cose che non è mai scontata ed è sempre stata aperta al confronto con la modernità e, venendo ai nostri tempi, molto simile alle acque infide su cui siamo costretti a camminare senza certezze e con la possibilità, però, di andare avanti. Da ultimo, la creatività che si è manifestata non solo nella sua attività di scrittore e di giornalista, ma anche nella varietà dei linguaggi che padroneggiava con cura.
Per queste ragioni, ma soprattutto per avere avuto don Domenico un cuore docile e non indurito, noi quest’oggi diciamo grazie.
