Festa di San Matteo
(Ef 4, 1-7.11-13; Sal 18; Mt 9,9-13)
Quaderni, giovedì 18 settembre 2025
“In quel tempo, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi»”. Per immaginare la scena basta ricordare la magnifica tela di Caravaggio. Gesù accoglie nel gruppo dei suoi intimi un uomo che, secondo le concezioni in voga nell’Israele del tempo, era considerato un pubblico peccatore. Matteo, infatti, non solo maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gente estranea al popolo di Dio, ma collaborava anche con un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere determinati anche in modo arbitrario. Per questi motivi, più di una volta i Vangeli associano “pubblicani e peccatori” (Mt 9,10; Lc 15,1), “pubblicani e prostitute” (Mt 21,31). Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia.
“Ed egli si alzò e lo seguì”. La stringatezza della frase mette chiaramente in evidenza la prontezza di Matteo nel rispondere alla chiamata. Ciò significava per lui l’abbandono di ogni cosa, soprattutto di ciò che gli garantiva un cespite di guadagno sicuro, anche se spesso ingiusto e disonorevole. Evidentemente Matteo capì che la familiarità con Gesù non gli consentiva di perseverare in attività disapprovate da Dio. Facilmente intuibile l’applicazione al presente: anche oggi non è ammissibile l’attaccamento a cose incompatibili con la sequela di Gesù, come è il caso delle ricchezze disoneste. Una volta Egli ebbe a dire senza mezzi termini: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” (Mt 19,21). È proprio ciò che fece Matteo: si alzò e lo seguì! In questo ‘alzarsi’ è legittimo leggere il distacco da una situazione di peccato ed insieme l’adesione consapevole a un’esistenza nuova, retta, nella comunione con Gesù. Ma prima c’è l’incontro con il Maestro e poi il cambio della propria condizione di vita. Non il contrario, come spesso accade, che equivale a mettere il carro davanti ai buoi.
“Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori”. Tutti, in realtà, siamo peccatori, tutti abbiamo peccati. A tal proposito, una volta ho sentito questo detto: “Non c’è santo senza passato e non c’è peccatore senza futuro”. Questo è quello che fa Gesù. Non c’è santo senza passato né peccatore senza futuro. Basta rispondere all’invito con il cuore umile e sincero. La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore perché si riconoscono peccatori e bisognosi del suo perdono. La vita cristiana quindi è scuola di umiltà che ci apre alla grazia. La misericordia e non il sacrificio è la strada anche per ricomporre questo mondo in frantumi in cui siamo e dove ognuno è parte di una realtà peccaminosa che occorre riconoscere senza creare le premesse per altre guerre e liti tra di noi.
