Giovedì della XXXII per annum 2025 – ingresso padre Arturo Bonandi
(Sap 7,22-8,1; Sal 119; Lc 17,20-25)
Chiesa della Sacra Famiglia in Verona, giovedì 13 novembre
“Quando verrà il regno di Dio?”. In realtà, ai farisei più che il ‘quando’ interessa il ‘come’, giacché nella loro testa il Messia avrebbe dovuto imporsi con una spettacolare prova di forza. Il Maestro, invece, li delude, rispondendo loro: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: ’Eccolo qui’, oppure: ‘Eccolo là’. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!”. A noi tentati sempre di “geolocalizzare” Dio, di circoscriverlo e di misurarlo, queste parole disorientano. Ma ci aiutano almeno a ritrovare l’essenziale. Dio è già in mezzo a noi e non sta a noi produrlo perché è prima di noi. Ciò non vuol dire che possiamo identificarlo con criteri empirici e materiali, anche se non può essere ridotto ad un fatto solo interiore perché genera effetti nella vita del mondo.
“Vi diranno: ‘Eccolo là’, oppure: ‘Eccolo qui’; non andateci, non seguiteli. Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno”. Ancora una volta Gesù per dire Dio fa curiosamente riferimento a qualcosa di sfuggente, simile ad una folgore, ad un bagliore di luce, che resta imprendibile e indefinibile. Ciò conduce a fare una riflessione che ci riguarda da vicino. Il Regno di Dio, cioè più semplicemente Dio, non possiamo prenderlo o bloccarlo. È sempre al di là di noi stessi. Se lo tocchiamo non è Dio. Ciò sta a dire che la parrocchia non è il Regno di Dio, quand’anche i numeri tornassero a salire. Perciò evitiamo i due estremi: lamentarsi di quanti pochi veri cristiani ci siano (e noi tra questi) o vantarsi troppo di quanto è grande la Chiesa (in passato certo). Cosa ne sappiamo? Siamo davanti al mistero di Dio che vuol salvare tutti, ma ignoriamo come e quando. La Chiesa non si identifica tout court con il Regno, perché la realtà invisibile è incomparabilmente più ricca e più perfetta.
“Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione”. Colpisce di queste ultime parole del Maestro il suo realismo tragico. Esso è un invito anche a noi ad evitare il pessimismo o l’ottimismo e a sapere con chiarezza che il Regno non si realizza come fosse una passeggiata di salute, ma come un parto doloroso che comporta una serie di fatiche e dolori che non possiamo evitare, pena il fallimento della nostra azione generativa. La maturità affettiva di un adulto o, per meglio dire, di un padre o di una madre, è quella di accettare la realtà e di non fuggire da essa; di dedicarsi ad essa anche senza tangibili risultati, ma con costanza e con spirito di sacrificio. Quello che oggi manca alla nostra generazione è investire sul futuro sapendo che non subito e forse neanche mai vedremo gli effetti del nostro agire, ma di sicuro tutto alla fine verrà ricondotto al bene e alla misura del Regno che sopravviene e supera ogni più rosea aspettativa. Questo è quanto auguriamo di tutto cuore a p. Arturo che succede a d. Flavio Bertoldi: diventare sempre più un adulto che si dedica a Dio e a questa comunità.
