Dare luce e dare alla luce – Inizio anno del Giberti

Venerdì della XXIII per annum – Inizio anno del Giberti
(1 Tm 1,1-2.12-14; Sal 16; Lc 6,39-42)
Cattedrale di Verona, venerdì 12 settembre 2025

Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro»”. Gesù con questa specie di proverbio intende chiarire ai farisei e alle guide spirituali del suo tempo che il maestro è unico e che nessuno di loro deve impancarsi a giudice degli altri perché nessun discepolo può sentirsi “sopra” agli altri. Uno solo è l’autentica guida, uno solo è il maestro, tutti gli altri sono discepoli. Chi ha descritto in pochi versi l’essenza del rapporto tra maestro e discepolo è Dante che nel XV canto dell’Inferno incontra Brunetto Latini, politico, poeta, filosofo. Dante ne aveva ascoltato lezioni e con lui aveva spesso conversato. Afferrandone la veste, gli grida: «Qual meraviglia!». Il rapporto maestro-discepolo comincia da qui: il primo prova stupore di fronte alla novità (unicità) del secondo, e così Brunetto chiama Dante «figliuol mio» e gli chiede di conversare un po’, camminando insieme. Maestro e discepolo sono due che esplorano la vita e il primo è chiamato, guardandolo bene, a dire all’altro che cosa vede, perché il secondo da solo non riesce ancora a vedersi: «Se tu segui tua stella / non puoi fallire a glorioso porto / se ben m’accorsi ne la vita bella». Così Brunetto indica la costellazione dei Gemelli, generosa in doni intellettuali e segno di Dante, o semplicemente il suo destino, perché un maestro sa che ogni uomo ha un porto glorioso.

L’aggettivo “glorioso”, in Dante sinonimo dell’azione divina nella realtà, non indica la fama ma l’impegno di Dio per il compimento di ogni creatura. L’uomo fiorisce solo attraverso la cura: è l’unico essere vivente che viene educato e non semplicemente addestrato. Per questo invece di chiedere ai bambini che cosa vuoi fare “da” grande, dovremmo domandare che cosa vuoi fare “di” grande, perché la grandezza dell’umano non è qualcosa che si raggiunge per età o successo, ma è già tutta lì. Si tratta di portarla a compimento e i maestri esistono per aiutare a farlo: dare luce e dare alla luce. Per questo noi ricordiamo i maestri che ci hanno guardato in modo unico, ci hanno fatto “sentire grandi” ridimensionando la nostra paura di non essere abbastanza o all’altezza, oggi evidente nella forma dell’ansia, prodotta dalla cultura della perfezione (anziché del compimento) e della prestazione (anziché della presenza). Nel sistema scolastico oggi fare questo è difficile, per questo dovremmo trasformare la scuola-catena-di-montaggio in scuola-bottega: l’umano non è mai in serie, è sempre un pezzo unico. Troppi ragazzi, dopo 13 anni di scuola ne escono sapendo poco di tutto e nulla di sé, a causa del divorzio tra istruzione (il cui fine è la cultura) ed educazione (il cui fine è la libertà). Se ciò che imparo non serve a conoscermi e diventare più autonomo (unico) sono al circo (addestramento e ripetizione), se invece mi fa crescere in libertà, sono a scuola (scoperta e coraggio). A questo punta la scuola del Giberti (1495-1543) che fu un vero maestro perché era stato un grande discepolo.

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Piazza Duomo, 37121 Verona, Veneto Italia