Allegato: Messa del Crisma in Cattedrale
Messa crismale 2025
(Is 61,1-3a.6a.8b-9; Sal 89; Ap 1,5-8; Lc 4,16-21)
Cattedrale di Verona, giovedì 17 aprile 2025
“A proclamare l’anno di grazia del Signore”. Così l’evangelista Luca chiude la citazione del passo di Isaia, a proposito del giubileo che il Messia inaugura con la sua presenza. Ciò che dà da pensare è che Gesù nella piccola sinagoga di Nazareth srotola e poi legge l’antica profezia, lasciando cadere una parola. In Isaia, infatti, troviamo un riferimento all’anno di grazia, ma insieme il riferimento ad un “giorno di vendetta per il nostro Dio”. Sulle labbra di Gesù la parola vendetta scompare e Dio è privato di questo attributo ancestrale. Non si tratta evidentemente di una modifica testuale o di una casuale dimenticanza, ma della novità che Gesù porta con sé nella relazione tra Dio e l’umanità. Non più basata questa relazione su dinamiche di premio e di punizione, ma fondata sull’amore incondizionato e sulla liberazione universale. Gesù, in tal modo, compie un atto rivoluzionario di straordinaria innovazione: sostituisce il rapporto debiti-crediti con la dialettica della grazia e della fede e alla religione delle regole preferisce la religione dell’amore. Per questa ragione, dai suoi stessi compaesani, di lì a poco viene letteralmente strattonato fin sul monte del precipizio (!).
Qualche volta mi vien da pensare che dietro certo malessere ecclesiale non ci sia tanto la tristezza per un mondo che sembra fare a meno di Dio e neanche l’esaurimento, o, come si dice, il burnout, che colpisce tutti quelli che svolgono compiti ad alto investimento relazionale, quanto piuttosto la perdita dell’originalità cristiana. In effetti, ciò che fa del cristianesimo un unicum, al punto da dubitare che si tratti di una vera e propria religione, è la libertà e l’amore di Cristo. Per questo, se si vuol preparare oggi la Chiesa di domani, l’umanità di Gesù è la luce da cui lasciarsi avvolgere. Come affermato dal Credo niceno (325), di cui ricorre il XVII centenario: “Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero”. Di fatto, la Chiesa rischia di spegnersi se non sa più dare risposte alle donne e agli uomini che cercano la luce. Se riflette sé stessa invece che risplendere della luce di Cristo.
Certo l’oggi della nostra missione si confronta obiettivamente con forme inedite di oscurità. In un’epoca segnata dall’atomizzazione sociale e dall’accelerazione tecnologica, le ombre che imprigionano l’umanità assumono forme sempre più sofisticate e meno visibili: dipendenze digitali, consumi compulsivi, isolamento relazionale, conformismo del pensiero, precarietà esistenziale e lavorativa, malattie fisiche e psicologiche. In tale contesto si fa strada il nostro servizio pastorale che va sempre di nuovo “imparato”, secondo le parole del Maestro: “Imparate da me, che sono mite” (Mt 11,29). Sì, impariamo da Cristo che è mite. La mitezza è lo stile della vera condivisione perché è la capacità di essere più forti della propria forza e più liberi della propria libertà. La mitezza è la pienezza umana di Gesù di Nazareth, mentre ci fa conoscere il volto misterioso di Dio. Invochiamo su questa assemblea la mitezza, come “olio prezioso (…) che scende sui monti di Sion. Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre” (Sal 133).