Con la Lettera pastorale Sul limite, il vescovo Domenico completa idealmente un itinerario iniziato con Sul silenzio e proseguito con Sulla luce. Tre testi che, pur affrontando aspetti diversi, delineano un cammino coerente: quello di una Chiesa che si interroga sul proprio posto in un tempo di profonde trasformazioni, scegliendo di abitare la realtà senza nostalgie e senza rincorrere l’efficienza.
Il primo passo, Sul silenzio, indicava la necessità di riscoprire l’ascolto in un’epoca segnata da rumore e parole ridondanti. Il silenzio non come fuga, ma come condizione per accogliere l’altro e l’Altro, per rigenerare comunità capaci di fare spazio. Con Sulla luce il Vescovo invitava invece a riaccendere lo sguardo: la luce come discernimento, come capacità di leggere i segni dei tempi, di orientarsi senza smarrire la direzione. Essa trova la sua sorgente nella “luce delle genti” che è Cristo: come la luce, pur invisibile a se stessa, rende percepibile tutto ciò che illumina, così la fede apre a una visione nuova della realtà, permettendo di viverla non più “a fari spenti”, ma con consapevolezza, libertà e responsabilità. In questo cammino interiore, due atteggiamenti si richiamano e si compiono a vicenda: tacere per ascoltare e vedere per orientarsi.
Con Sul limite il cammino compie un passo ulteriore. Qui il Vescovo propone di guardare al limite non come ostacolo o condanna, ma come soglia da abitare. È proprio nella fragilità, nei confini fisici, culturali ed esistenziali che si manifesta la possibilità di un incontro trasformante. In una società che esalta l’illimitato e rifiuta ogni debolezza, la Lettera mostra invece come la fede si radichi proprio lì dove si riconoscono i confini e si impara a distinguere tra i muri che dividono e le soglie che mettono in relazione. Il racconto biblico di Giacobbe diventa icona di questo percorso: cadute e lotte che sfociano in una benedizione nuova, segno che anche la ferita può aprire alla vita.
La continuità con le precedenti lettere è chiara: uno sguardo contemplativo, un linguaggio sobrio, il riferimento costante alla Parola di Dio. Ma Sul limite segna anche un cambio di prospettiva: se il silenzio e la luce orientavano soprattutto ad atteggiamenti interiori, ora si chiede una scelta ecclesiale più coraggiosa. La Chiesa è chiamata a collocarsi “sul confine”, a esporsi, a non temere di essere minoranza. Non conta la prestazione, ma la qualità delle relazioni; non l’efficienza delle strutture, ma la capacità di accompagnare processi, anche piccoli e lenti.
Il limite, accolto e abitato, diventa ponte: tra generazioni, tra centro e periferia, tra credenti e non credenti. È lo spazio in cui la missione si libera dall’autoreferenzialità per farsi incontro e compagnia.
Così, dopo il silenzio e la luce, anche il limite non chiude un ciclo ma apre orizzonti. Nella Lettera pastorale Sul limite il Vescovo ricorda: “Il limite si trasfigura in dono quando accettiamo di cambiare lo sguardo su noi stessi”. È lo sguardo di una Chiesa che smette di misurarsi sul fare e sceglie di condividere, che riconosce nella vulnerabilità non un ostacolo, ma un luogo di grazia. È invito a una Chiesa pellegrina, che accetta la fatica del cammino e che nel limite non vede la sconfitta, ma la possibilità di una nuova nascita. Perché è proprio dove finiscono le sicurezze che può cominciare davvero la fiducia, e con essa l’aprirsi alla speranza di un tempo nuovo, e prendere corpo l’audacia del Vangelo.
mons. Ezio Falavegna,
moderatore della Curia