La recente Lettera Sul limite del nostro vescovo Domenico offre spunti preziosi di riflessione, soprattutto in relazione all’annuncio, che oggi più che mai si presenta come un terreno ricco di domande e aperto a possibilità di sperimentazione. Colpisce innanzitutto l’intonazione poetica da cui muove il testo. A questo proposito torna alla mente un passaggio di Zerocalcare, fumettista molto amato dai giovani, che in uno dei suoi libri scrive: “Forse crescere significa anche questo. Accettare che quel monte che protegge la vallata ha anche un altro versante, nascosto. Che il terreno non è tutto uguale, ci sono zone più fertili, altre più aride. Alcune parti sono addirittura a rischio frana. Ci sono angolazioni e scorci che non avresti mai potuto scorgere dalla tua prospettiva iniziale. È così che si diventa uomo o donna? Accettando che una montagna è l’insieme di quelle prospettive, sennò è solo un fondale teatrale?”.
Il tema dell’annuncio, oggi, ci chiede proprio questo: accettare la complessità, esplorare versanti nascosti, riconoscere che il terreno su cui ci muoviamo è variegato, instabile, eppure fecondo. Il limite, allora, non è soltanto ostacolo: è luogo di rivelazione, di cambiamento, di incontro. È lì che possiamo scorgere nuove prospettive, lasciarci provocare e forse riscoprire il senso profondo dell’essere Chiesa: non più fondale statico, dove la parrocchia si identificava con la popolazione che abita un territorio, ma spazio ospitale che valorizza le relazioni e inaugura nuove forme e stili di convivialità e comunione.
La prima vera fatica di chi vive la pastorale non è dunque “fare”, ma fermarsi e osservare. Non con uno sguardo frettoloso o giudicante, ma pronto a cogliere prospettive nuove, anche dove tutto sembra bloccato. È questo lo stile che permette di “andare oltre”, di immaginare possibilità dove sembrano esserci solo ostacoli, di non fermarsi a ciò che rassicura.Il compito di una Chiesa che desidera “abitare le frontiere” del nostro tempo, senza rigidità né rassegnazione, è leggere il presente come occasione e sfida e chiedersi: quali sono i confini verso cui, come comunità cristiana, siamo chiamati a muoverci con rinnovato slancio evangelizzatore?
In questa ricerca non siamo soli: la sinodalità, vissuta come stile, mostra che le differenze non sono barriere ma risorse, che lo Spirito agisce attraverso tensioni e imprevisti e che la comunione diventa credibile solo quando si incarna nella concretezza della vita. Da qui l’importanza che le comunità parrocchiali trovino momenti di confronto condiviso, a diversi livelli, partendo in particolare da alcune sollecitazioni contenute nella seconda parte della Lettera: “Dobbiamo passare dal ‘fare tutto’ al ‘fare l’essenziale’. Occorre passare dall’essere veloci al diventare profondi, dall’andare in ordine sparso a rinvenire coordinate trasversali”.
Accogliere queste traiettorie come punti di riferimento per una nuova proposta pastorale significa mettersi in una prospettiva esodale, fatta di passaggi e di trasformazioni, senza sfoderare chissà quali strategie ma accettando di fare i conti con la nostra vulnerabilità, come accadde a Giacobbe. Ed è proprio lì, dove ci scopriamo fragili, che si apre la possibilità di una forza nuova. In quel limite che diventa soglia, potremo riconoscere non solo fatica, ma una promessa di vita. Una benedizione che ci sorprende, mentre camminiamo insieme.
don Davide Adami,
delegato episcopale per l’ambito dell’annuncio