Approfondimento sulla Lettera pastorale 2025 "Sul limite"

La società senza limiti: consumo, prestazione e individualismo

di Marina Salamon

La lettera del nostro vescovo Pompili Sul limite mi ha coinvolta, non solo spiritualmente. Le sue riflessioni spiegano molto riguardo alla nostra società ed economia, che allontanano o rimuovono l’esistenza dei limiti e delle fragilità nelle nostre vite. Non possiamo mitizzare il passato, ma è evidente che lo stile di vita e la modalità di lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto erano basati su ritmi e valori molto diversi dai nostri attuali. La “sapienza del limite”, così come la coscienza della presenza di Dio nelle vite umane, e l’accettazione dell’idea della morte, caratterizzavano la società di allora. L’economia e l’organizzazione del lavoro si sono evolute molto più lentamente, per secoli, rispetto agli ultimi decenni, in cui i cambiamenti si sono accelerati, a causa della globalizzazione, ed è prevedibile che le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale impatteranno ulteriormente.

Condivido in pieno i contenuti della lettera: siamo parte di una “cultura della performance”, “che promette tutto subito e che pretende efficienza a ogni costo”. Ho lavorato come imprenditrice per tutta la vita e sono cosciente che lo sviluppo delle nostre aziende seguiva dinamiche diverse in passato, quando l’economia era meno finanziarizzata e il legame con i collaboratori e col territorio era, in genere, più presente. Riguardo alle promesse di successo nel breve, penso che i social media e le illusioni generate dalle start-up, oltre che dalle criptovalute, non aiutino certo a riconoscere il valore della lentezza e del limite.

Non credo che questo problema riguardi solo le generazioni più giovani: anche coloro che hanno più di cinquant’anni (i cosiddetti boomers) non sono sempre disponibili ad accettare l’idea di invecchiare, o più in generale, ad accogliere i propri limiti… Penso che una riflessione sulla nostra esistenza e sulla trasformazione dei limiti da problemi a opportunità di crescita sia un passaggio fondamentale, addirittura “un’opera quasi rivoluzionaria”. Un dialogo su questo tema dovrebbe coinvolgere sia i credenti che coloro che non lo sono: tutti ne abbiamo bisogno, più che mai. Ho trascritto queste parole da un’intervista del nostro vescovo: “Ripartire dal limite significa ritrovare la condizione per poter crescere non in modo chiuso e autosufficiente, ma in relazione con gli altri”. E la relazione con gli altri sarà il fattore fondamentale per ricostruire imprese più umane e responsabili socialmente.

Posso testimoniare, in base a ciò che ho vissuto, che il mio sguardo sulla realtà è cambiato solo quando sono stata in grado di “attraversare i miei limiti”, riconoscendo le mie sconfitte, o vivendo passaggi di vita in cui non ero in grado di conseguire ciò che avrei desiderato. Mi sono resa conto, solo in seguito, di quanto io mi fossi abituata a credere di poter arrivare a realizzare ciò in cui credevo, lottando per arrivarci: era accaduto, fino ad allora, sia riguardo al lavoro, che alla vita familiare, che ai diversi aspetti dell’esistenza. La mia arroganza coesisteva con una fede priva di umiltà, probabilmente immatura o superficiale. Solo quando ho sperimentato realmente la fragilità, mi è stato possibile cominciare ad “aprirmi all’Infinito che ci abita”.
Il nostro mondo considera tutti i limiti improduttivi, oltre ad averne paura, “ma il limite è vita. È la forma che permette all’essere di esistere e di elaborare il dolore. Senza limite… non c’è riconoscimento, non c’è amore possibile”. Ogni giorno, incontrando le persone, anche in ambito professionale, sperimento la verità e la bellezza della condivisione umana, che supera i ruoli sociali e non teme di accogliere o esporre i nostri limiti: “Sciolto nelle sue pretese di onnipotenza, il soggetto può rinascere come spazio ospitale”. È un cammino di scoperte umane e di vita.

Marina Salamon

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