Che cosa significa limite? È un termine equivoco, espresso in latino con limen e limes. Limen indica un’idea di passaggio: non è un muro, ma il passo della soglia che può essere aperta oppure chiusa. «Il limite – afferma il vescovo di Verona – può trasformarsi da muro in porta» (p. 22). La porta che si apre e si chiude indica uno stato di incertezza, di insicurezza e di inquietudine. Diversamente, il termine limes determina la frontiera che deve essere sbarrata, come tra Italia e Francia. Che cosa accade quando nella pastorale arriviamo alla soglia? Abbiamo paura. Azzardiamo un passo oltre, accettando nuove presenze, o spranghiamo la soglia chiudendoci nella gabbia ecclesiastica? Giunti al limite non possiamo fingere: sappiamo che c’è dell’altro, ma ce ne difendiamo.
Noi non riusciamo a mettere in parole la persona che siamo e tuttavia tendiamo a oltrepassare questo limite, certi che la trascendenza non è fuori di noi, ma siamo noi che ci trascendiamo. Quante volte, anche nell’annuncio, di fronte alla gioia o alla tragedia, alla nascita o alla morte, facciamo l’esperienza che la parola ci manca. Eppure più manca e più cerchiamo di dire, di balbettare, entrando in un processo di approssimazione continua. Meglio farfugliare che tacere! Ogni persona vivente è limitata e illimitata: crescendo supera il proprio limite e trasgredisce dei confini. Viviamo sulla soglia e guai a fare l’apologia della finitezza! Perché nel momento stesso in cui si pone il finito, si pone anche l’infinito. È una finitezza abitata da infinite possibilità, dentro un discorso dialettico e non dogmatico: «Il limite – afferma il Vescovo – è vita» (p. 28), e direi vita ferita e in ricerca di senso.
La libertà, separata dal limite, rimane un termine frainteso. Nessuno nasce libero, ma “in catene”, condizionato dalle abitudini, dalle tradizioni e dalle credenze, che non ci siamo costruite e scelte. Sono il presupposto ineliminabile di ogni nostro atto, allo stesso modo della lingua che apprendiamo col latte materno. Ciò significa che la libertà è un compito! Ci è dato solo il potere di diventare liberi, sottoponendo a critica ogni forma del già-detto e del già-fatto. La libertà non si dimostra, ma si mostra nei fatti liberando altri, facendosi prossimi con ogni mezzo. Solo chi è libero può liberare altri! Limite e libertà sono concetti interdipendenti: la libertà senza limiti, infatti, sfocia in un caos privo di senso.
La situazione ecclesiale oggi sperimenta il limite. Emerge tutta la difficoltà di far pace con la perdita di spazio e di rilevanza della fede. Non mancano alcuni rigurgiti polemici, rigidi moralismi, valutazioni negative e lamentose, non senza un tono apologetico che il grande teologo francese de Lubac definirebbe “aggressivo” e “difensivo”. In realtà il cristianesimo oggi può mostrare meglio il suo carattere di sfida, di oggettività, di realismo, di esercizio della vera libertà, di religione legata alla vita del corpo e non solo della mente. Il limite di un’appartenenza tradizionale e sociologica, se viene compreso come rischio della fede, può diventare più attraente grazie alla freschezza e alla novità del Vangelo. La vita, infatti, si gioca con la capacità che abbiamo di “lievitare” lì dove ci troviamo a vivere. Lo stesso Benedetto XVI nel 2011 ebbe a dire in Germania che «in un certo senso, la storia viene in aiuto alla Chiesa attraverso le diverse epoche di secolarizzazione, che hanno contribuito in modo essenziale alla sua purificazione e riforma interiore».
don Sergio Gaburro,
docente di teologia