Esaltazione della Santa Croce – Ordinazione diaconali
(Nm 21,4b-9; Sal 78; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17)
Cattedrale di Verona, sabato 13 settembre 2025
Cari Cristian (26), Francesco (43), Federico (34), Simone (39), avete scelto per questo giorno una delle prime parole di Leone XIV: “Sparire perché rimanga Cristo”. Ma chi è Cristo? E che significa “sparire” perché Lui soltanto rimanga? L’Apostolo Paolo – come abbiamo appena ascoltato nella seconda pagina – ci indirizza verso un inno antichissimo a Cristo, sorto nelle primitive comunità cristiane. Il fatto che il brano della lettera ai Filippesi trovi la sua origine nella liturgia lo rende ancor più interessante perché affonda le sue radici nell’anonimato della comunità e celebra la fede comune, non la teologia di un singolo o di un gruppo. Il centro dell’inno è la persona e l’opera di Gesù Cristo, il quale “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio / l’essere come Dio, / ma svuotò sé stesso / assumendo una condizione di servo, / diventando simile agli uomini. / Dall’aspetto riconosciuto come uomo, / umiliò sé stesso / facendosi obbediente fino alla morte / e a una morte di croce”.
Dunque, alla domanda “chi è Gesù?”, i primi cristiani non rispondono mediante una formula, ma raccontando una storia. È unicamente a partire dalla storia di Gesù che si comprende appieno la sua personalità, la sua divinità e la sua umanità, il suo significato per noi. Due sono le espressioni che descrivono il Cristo: la “condizione di servo” (v. 7) e si “fece obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (v. 8). Ciò che dà da pensare è che Dio facendosi uomo ha inteso condividere per intero la nostra condizione umana, segnata radicalmente dal limite, dalla caducità, dai bisogni, dalla morte. È questa la meraviglia che l’inno intende suscitare in una comunità come quella di Filippi, dove non mancano tensioni e contrapposizioni, rivalità e vanagloria, ricerca di sé e spirito di parte, come dappertutto. Di qui la prospettiva da ritrovare: la croce. Cioè non la ricerca di sé, ma il servizio; non l’autopromozione, ma l’abbassamento; non la contrapposizione, ma il dono. Ecco come si vive concretamente la croce, senza retorica e stando coi piedi per terra.
Il diacono è “il servo obbediente fino alla morte di croce”: questa è la realtà sacramentale che state per ricevere in dono. Ma che significa, in concreto? Significa la “fatica” di sparire per gli altri. Sì, la “fatica di alzarsi all’alba” è l’antidoto a quella cultura della comodità e della facilità che porta verso l’esonero della responsabilità e verso il disimpegno. Si è fatta strada l’idea che sia possibile vivere senza fare fatica o, quantomeno, aggirandola per scaricarla sugli altri. Ma la vita va avanti grazie a quanti “faticano” per garantire ad altri la vita. Sudare, del resto, fa bene perché disintossica l’organismo e migliora la circolazione sanguigna. Vi auguro, dunque, di faticare, di sudare, di stancarvi non per voi stessi, ma per gli altri. La stanchezza non è il nostro nemico, ma un segno che stiamo dando tutto noi stessi. E così tramite voi si compia l’affermazione giovannea: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
