Martedì della XXIII per annum – Festa dell’Addolorata
(Col 2,6-15; Sal 145; Lc 6,12-19)
Tarmassia, martedì 9 settembre 2025
“Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio”. Ci sono due contesti geografici in cui il Maestro sceglie e poi invia i suoi discepoli. Uno è il monte come nella redazione lucana, un altro è il lago come nella redazione marciana (1,16-20; 2,13-14, 3,13-19). I differenti contesti significano anche qualcosa di diverso. Nelle vocazioni presso il lago la chiamata viene offerta c ciascun uomo là dove egli si trova: mentre ripulisce le reti in riva oppure durante la propria attività di gabelliere. Per contro, nelle vocazioni sul monte Gesù si stacca dal contesto dolorante e cerca nel contatto con Dio l’ispirazione per fare una scelta che tragga dalla massa qualcuno. La chiamata è sempre una selezione per motivi del tutto incomprensibili per i quali occorre soltanto manifestare gratitudine sovrabbondante, come accenna Paolo nella prima pagina.
“Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome”. Guardando l’elenco dei Dodici, vien da pensare che non c’è nessun merito in questa scelta. Il Signore Gesù ci guarda, ci chiama a sé, ci sceglie, ci invia. E come sempre, davanti ai gesti importanti, il Gesù di Luca prega, come a sottolineare che quell’azione non è solo sua, ma è sempre in comunione con il Padre. Prima di essere inviati i discepoli sono chiamati ad ascoltare: l’insegnamento che porteranno è l’insegnamento di Gesù, non il loro. E l’insegnamento di Gesù comincia dalla domanda fondamentale dell’uomo intorno alla felicità. Per essere felici occorre sperimentare la mancanza, la privazione, la povertà, la fame, il pianto, l’ingiustizia. Sono tutte situazioni in cui ci manca qualcosa. Lì facciamo l’esperienza di non bastare a noi stessi e possiamo aprirci a Dio.
“Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti”. Gesù non è stato solo un predicatore, ma anche un guaritore. Così ha da essere un cristiano, anche lui è chiamato a diventare un “guaritore ferito” cioè uno che trae la sua forza dall’aver sperimentato sulla sua pelle le fragilità che nella fede possono essere attraversate e superate. Il terapeuta “può guarire gli altri nella misura in cui è ferito egli stesso” (Jung). “Non abbiate paura delle vostre ferite, dei vostri limiti, della vostra impotenza. Perché è con quel bagaglio che siete al servizio dei malati e non con le vostre presunte forze, con il vostro presunto sapere” (F. Ostaseski).
Venendo a Maria Addolorata viene da pensare che solo il gentil sesso ha un rapporto con la vita e con la morte così esplicito e soltanto loro non fuggono mai. Noi uomini tendiamo a dileguarci nel momento dello scacco finale perché non sopportiamo questo fallimento. Maria Addolorata è invece la perfetta incarnazione di un amore che sa trasformarsi in dolore accolto e vissuto senza rinchiudersi su di sé come una vittima, ma offrendosi come fonte di speranza, come l’ha sempre intesa il popolo cristiano.
