Il rigore della giustizia e il calore della grazia – Messa con la Polizia Penitenziaria

Allegato: Messa con la polizia penitenziaria

Messa con la Polizia Penitenziaria (Frati del Barana)
(1 Gv 5,1-6; Lc 9,23-26)
Chiesa di San Francesco al Barana in Verona, martedì 8 luglio 2025

Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Gesù non fa mistero del suo destino. Sa perfettamente che è un “uomo che cammina verso la morte” e che andare a Gerusalemme equivale ad affrontare la sfida decisiva. Ciò nonostante su questa via Gesù non si incammina da solo. Egli non è l’eroe solitario, lo stoico che dà l’esempio per suscitare ammirazione. In realtà, il cammino della croce è una proposta aperta a tutti. Nessuno escluso. Questa, anzi, è la condizione per essere discepoli: la rinuncia a sé stessi è un decentramento, una liberazione da sé, dalle paure e remore che bloccano ciascuno nella preservazione ossessiva del proprio “status quo”. Tutto questo però non può ridursi ad una sensazione psicologica o ad una emozione fuggevole, perché la decisione di seguire il Maestro deve confrontarsi con il rischio della croce. In concreto, deve misurarsi con la rinuncia radicale richiesta dalla morte violenta ed infame. Così è stato per san Basilide, soldato e martire, che ha saputo scegliere la fedeltà e la verità, al punto da trasformare la sua divisa da simbolo di potere a segno di dono.

Luca però demitizza la croce o il martirio spettacolare con l’aggiunta “ogni giorno”. È nel quotidiano e non solo nella grande persecuzione che si manifesta la fedeltà dei discepoli. Forse egli vuol far capire che la croce è la legge permanente della vita cristiana e non una soluzione di emergenza. Viviamo in effetti una stagione terribilmente disorientata che non distingue tra giustizia e vendetta, tra sicurezza ed esclusione, tra legalità e chiusura. Ma la giustizia vera non è una mannaia che taglia in due il colpevole ma si coniuga sempre anche con la grazia perché sa distinguere tra peccato e peccatore, tra colpa e colpevole.

Cari agenti di polizia penitenziaria, “ogni giorno” siete protagonisti di una delle sfide più profonde e delicate: tenere insieme il “rigore” della giustizia e il “calore” della grazia. Non è una cosa semplice. La società spinge in direzione esattamente contraria: tende, cioè, a condannare, a semplificare, a ridurre le persone a un reato o a un numero di matricola. Ma dietro ogni numero c’è un nome e dietro ogni nome si nasconde una storia: una trama spesso segnata dal dolore, dalle lacerazioni, da nodi ancora aperti. Il carcere, lo sappiamo anche se non vogliamo ammetterlo, è uno riflesso della società: rilancia le sue paure, le sue contraddizioni, le sue disuguaglianze. Non è un’isola felice ma neanche separata, ma un riflesso condizionato delle nostre incapacità collettive di prevenire, educare, accogliere. In ogni cella si sente il rumore sordo di un fallimento sociale, il silenzio di un’opportunità negata, la sete di un abbraccio mai ricevuto. Siete silenti, accanto a un’umanità spossata, che vacilla e cerca aiuto. Siate, dunque, come san Basilide, coraggiosi e fiduciosi, sapendo che non siete voi a scegliere la croce che vi è posta sulle spalle, ma voi potete scegliere come portarla: con disprezzo o con rispetto, con distanza o con vicinanza.

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