Allegato: Maria Madre della Chiesa
Maria, Madre della Chiesa (Tredicina di S. Antonio)
(Gen 3,9-15.20; Sal 86; Gv 19,25-34)
Basilica di Sant’Antonio in Padova, lunedì 9 giugno 2025
“Ho udito la tua voce nel giardino”. Stando al libro che apre la Bibbia, è in un giardino che tutto comincia. La Genesi, come dice la parola, ci consegna beninteso non una favola, ma un racconto sull’origine. E risponde ad una domanda: “Perché se il mondo è stato creato da Dio bello e buono esiste tanta sofferenza, tanto male?”. Insomma, perché il giardino si è trasformato ne “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (Paradiso, XXII, 151)? La risposta è che la seduzione del serpente ha ottenuto il suo scopo: dividere, distruggere, distanziare. Sfido chiunque a dire meglio e in modo più conciso la nostra esperienza: quella di gente divisa tra interiorità ed esteriorità; di persone schierate l’una contro l’altra; di società che distruggono la natura; e di uomini e donne increduli, cioè distanti da Dio.
Fortunatamente, il brano evangelico costituisce il controcampo della pagina genesiaca, mettendo sotto il nostro sguardo una Madre che sta “sotto” la croce del Figlio. E si sente chiamare: “Donna!”. Maria di Nazareth mette insieme la donna e la madre. Oggi, sembra, infatti, che si tratta di dover scegliere: o si è donna o si è madre; quasi una variante – mi si permetta l’impertinenza – di un’altra stucchevole alternativa al femminile: o sei carina o sei intelligente. A porre la questione, di recente, è stato M. Recalcati che ha prospettato il tramonto della madre che si sacrifica per accudire i figli. Il suo posto sarebbe stato preso dalla madre ‘narciso’, ossessionata dalla propria libertà e della propria immagine, che vede nei figli un ostacolo. Conclusione? Se nel passato la madre tendeva ad uccidere la donna, oggi è la donna che sopprime la madre. Dove trovare il punto di equilibrio? Nella Ma-donna, cioè nella madre che è e resta donna. La madre buona, infatti, è la madre che non dimentica la donna, ma ne viene attraversata e rigenerata. Bisogna riconoscere che anche nella storia della fede a proposito di Maria si è assistito ad una progressiva riduzione della femminilità e della carnalità della donna a favore di una spiritualizzazione ed evanescenza della figura di Maria. E anche in questo caso, la deviazione ha coinciso con l’isolamento di Maria dal Figlio, che è stato espulso dalla sua rappresentazione insieme alla sua fisicità materna, ridotta ad una asetticità più vicina a certe modelle che a figure materne dolci e morbide.
Mia madre è un film di N. Moretti, la cui protagonista è una prof. di latino, la cui perdita simboleggia il distacco da quella cultura umanistica che travolge i figli completamente svuotati, nel lavoro e nella vita personale; mentre lei, la madre in procinto di morire, è l’unica a poter articolare, seppure a fatica, la parola “domani” con cui la pellicola giunge ai titoli di coda. Si comprende, alla fine, perché Maria, la donna, anzi la Ma-donna, sia per credenti e non credenti un “segno” da decifrare: è nel nome della donna che è madre, infatti, che si inaugura la vita e la si trascende per sempre. Per questo lo stesso sant’Antonio ne ha sempre fatto un caposaldo della sua predicazione, al punto da essere definito il “poeta di Maria”.
