“La voce e la mano sono i due livelli del servizio diaconale” – Ordinazione diaconale don Mateus Palanga Chicoco

Allegato: Ordinazione diaconale don Mateus Palanga Chicoco

IV domenica di Pasqua 2025
Ordinazione diaconale don Mateus Palanga Chicoco
(At 13,14.43-52; Sal 99; Ap 7,9.14b17; Gv 10,27-30)
Santuario San Giovanni Calabria, domenica 11 maggio 2025

Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Gesù fa risaltare due qualità del buon pastore che è poi Lui stesso. Esse sono: la sua voce e le sue mani. Cominciamo dalla voce perché come un cane si orienta con l’odore, le pecore si orientano con la voce. Ma come è questa voce? È una voce inconfondibile: non è aspra, ma nemmeno confusa; è chiara e insieme discreta. È la voce di colui che il testo dell’Apocalisse definisce così: “L’Agnello sarà il loro pastore”. Dunque, è la voce di uno che è insieme pastore e agnello, anzi è pastore proprio in quanto agnello.  Don Calabria, cominciando dai due anni del servizio di leva qui a Verona, non smise mai di ascoltare la voce dei più deboli, in quel caso malati di sifilide. E poi da quella fredda notte del 1897 ascoltò la voce del bambino fuggito dal campo nomadi. Così mise in pratica quanto avrebbe scritto più avanti ai suoi preti e ai suoi laici: “Dobbiamo riflettere la pura luce di Gesù; Egli è la luce vera che illumina ogni uomo che viene a questo mondo, ma la sua luce non può vedersi se non riflessa da noi”.

Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”. Oltre alla voce, c’è la mano che identifica il buon pastore. La mano è “l’organo degli organi” (Aristotele) e pure uno dei primi strumenti di relazione. Per i suoi ragazzi don Calabria fece costruire laboratori in cui potevano imparare un mestiere come tipografi, falegnami, fabbri o calzolai, cioè imparando ad usare le mani. Così le sue mani furono benedicenti non solo di sera da quassù, ma nel quotidiano aiutando tanti a riscattarsi dalla propria condizione di vita povera e insufficiente. Capisci anche tu caro don Mateus che la voce e la mano sono i due livelli del tuo futuro servizio diaconale: fare spazio alla voce di Dio ed esserne a volte l’eco e rendere plastica la mano provvidente di Dio attraverso il tuo servizio ai più poveri ed indifesi.

C’è un’ultima attenzione che il brano evangelico ci fa scoprire. Gesù conclude la sua difesa davanti a quanti negano la sua autenticità messianica, con queste parole inequivocabili: “Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola”. Qui Gesù giunge al culmine della ri-velazione del buon pastore, lasciando intendere che alla fine la mano decisiva a cui affidarsi è quella di Dio. Per questo, il buon pastore fa spazio alla voce e alla mano di Dio. Qui si coglie l’invito, caro don Mateus, a non dimenticare mai che il tuo ministero diaconale trova senso solo nella direzione di far spazio a Dio e quasi di “scomparire” perché ciò che resta è soltanto l’amore di Dio. Come ha detto proprio l’altroieri nella sua prima omelia papa Leone XIV: «Un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: (è) sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo».

condividi su