Allegato: Giubileo del mondo del lavoro
Giubileo del mondo del lavoro
(Gv 6,52-59)
Basilica di San Zeno, venerdì 9 maggio 2025
“Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono” (v. 58). Cristo stesso si presenta come il vero pane, come colui che non solo sfama, ma dona vita in pienezza. E questo ci offre una chiave fondamentale per comprendere il significato spirituale del lavoro. Quando lavoriamo la terra, quando trasformiamo il frumento in pane, quando condividiamo il frutto del nostro lavoro, partecipiamo in qualche modo al mistero del dono che Cristo fa di sé. Il lavoro vissuto cristianamente diventa allora un cammino che parte dalla terra, ma si apre al cielo. Non è solo produzione di beni materiali, ma occasione per attingere a un’energia superiore che trasforma la fatica in offerta. Come scrive la filosofa Simone Weil: “Esiste un’energia trascendente la cui sorgente è in cielo e che passa in noi non appena lo desideriamo. È veramente una energia e si traduce in azione tramite la nostra anima e il nostro corpo. È questo l’alimento che dobbiamo chiedere”. Il lavoro, illuminato dal mistero del pane eucaristico, diventa così un’esperienza di comunione, un modo per partecipare all’opera redentrice di Cristo che trasforma gli elementi della creazione in dono di vita.
Nell’ottica cristiana, il lavoro non può essere pienamente compreso senza la sua controparte essenziale: il riposo. Non si tratta di semplice assenza di attività, ma di un tempo qualitativo che dona senso all’operare umano. Lo Shabbat biblico ci offre un modello prezioso: il lavoro non è visto come fine, ma come mezzo per riscoprire il senso del nostro esistere. Il riposo cristiano è, quindi, tempo di gratitudine per i doni ricevuti, momento di condivisione fraterna dei frutti del lavoro e spazio per scoprire un orizzonte nuovo, promettente, vivo. È nell’alternanza tra fatica e sosta che si realizza l’alleanza con Dio e con la creazione, in un ritmo che rispetta i limiti umani e permette quella trasfigurazione spirituale, a dispetto del film Tempi moderni del 1936 scritto, diretto e interpretato da Charlie Chaplin, dove si diventa un ingranaggio dentro una catena di montaggio. Ecco perché Simone Weil scrive, a contatto con gli operai della fabbrica in cui lavorava e nella quale ha scoperto che cosa significa non avere spazio per pensare, per credere e per sognare: “Il popolo ha bisogno di poesia come di pane”.
Il lavoro, dunque, non è una maledizione, ma è un modo concreto con cui dar seguito alla creazione di Dio, a condizione che lo si concepisca non come un modo “per far soldi”, ma piuttosto “per creare ricchezza”. Si lavora per ampliare lo spettro delle possibilità per tutti e non per diventare accumulatori seriali. Per questo il lavoro definisce l’uomo, perché dà significato al suo agire. Senza l’uomo non c’è lavoro, ma senza lavoro non c’è neanche l’uomo. «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» sia per noi non solo una preghiera rivolta a Dio, ma un impegno a costruire un mondo dove il valore della comunione prevalga su quello del denaro, dove i debiti vengano rimessi e nessuno sia abbandonato alle tentazioni di un sistema che privilegia il profitto sulla dignità umana. Il lavoro, infatti, non è mai solo produzione, ma è anche generazione di una vita giusta che insieme proviamo sempre di nuovo a creare come nel Giubileo.
