“Dobbiamo provare a trasformare la competizione in collaborazione e la corsa veloce in un cammino di reciproca integrazione” – Lunedì dell’Angelo 2025

Allegato: Lunedì dell’Angelo 2025 Negrar

Lunedì dell’Angelo 2025
(At 2,14.22b-33; Sal 16, Mt 28,8-15)
Negrar, lunedì 21 aprile 2025

Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli”. La mattina di Pasqua è segnata da una fretta e quasi da una corsa tale è l’effetto imprevedibile della tomba vuota. Le donne corrono, ma anche i discepoli si mettono in movimento. Ma la velocità non basta. Come recita un noto proverbio africano: “Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme”. In effetti, l’alternativa vera non è tra essere lenti o veloci. Veloci lo siamo inevitabilmente. Si tratta di procedere non l’uno contro l’altro o l’uno senza l’altro, ma l’uno con l’altro. Si potrebbe dire, dunque, che il problema è essere lenti o rock. Sì, la roccia della nostra vita resta la relazione, la fondatezza dei legami, la profondità dei rapporti. Questa riesce a equilibrare la velocità che diversamente ci allontana gli uni dagli altri.

Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno»”. A differenza dell’angelo che invita le donne ad andare dai discepoli, qui il Risorto fa riferimento ai fratelli in quanto tali e indica un luogo preciso: la Galilea. Non si tratta solo di un riferimento fisico, ma simbolico. La Galilea è il luogo del primo incontro con i suoi: dove è stato conosciuto, ascoltato, toccato. Gli apostoli avevano lasciato tutto per seguire Gesù ed erano stati con Lui lungo i tre anni successivi. Ora Gesù dà loro di nuovo appuntamento in Galilea, come a dire che la storia comincia di nuovo. Tre anni prima gli apostoli avevano incontrato presso il lago di Genesaret un maestro sconosciuto e avevano confusamente intuito che era un inviato da Dio. Ora devono incontrarlo come Dio, come uomo vincitore sulla morte che li invierà in tutto il mondo nel nome di Dio.

Dite così: «I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo»”. La fake news che i soldati, istigati dai sacerdoti, confezionano per non riconoscere la resurrezione è affermare che il suo corpo è stato trafugato dai suoi. La diceria si diffonde, ma non cessa di essere patetica oltre che controproducente. La verità è una cosa e la diceria è un’altra. Già Tertulliano polemicamente sosteneva: “Delle due l’una: o dormivate e allora come potete affermare che è stato trafugato oppure eravate svegli e allora perché ve lo siete fatto sfilare davanti ai vostri occhi?”. La spiegazione oggi più ricorrente circa la vita dopo la morte è “scomparire nella natura” oppure “sopravvivere nei discendenti”, o lasciarsi affascinare dalla tecnologia che si chiama “meta-verso” per dire “oltre, ma invano. Ad una attenta osservazione è molto più ragionevole ammettere un’azione divina che ipotizzare delle soluzioni umane che non risolvono il vero problema dell’uomo che è la vita oltre la morte.

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