Allegato: Esequie di mons. Rino Breoni
Esequie di mons. Rino Breoni
Mercoledì della II settimana per annum
(Eb 7,1-3.15-17; Sal 110; Mc 3,1-6 )
Cattedrale di Verona, mercoledì 22 gennaio 2025
“Il suo nome significa ‘re di giustizia’; poi è anche re di Salem, cioè ‘re di pace’. Egli… rimane sacerdote per sempre”. La misteriosa figura di Melchìsedek conduce l’autore della lettera agli Ebrei a tratteggiare la figura di Cristo, il cui sacerdozio è insieme “giustizia” e “pace”. Gesù, dunque, non crea soltanto un ‘ponte’ tra Dio e l’umanità, ma crea pure le relazioni giuste tra gli umani. Ciò significa che non può esserci autentico culto verso Dio, se non c’è giustizia nell’agire concreto verso il prossimo. Anzi, la giustizia verso l’altro è la prima forma del culto reso a Dio. Il testo evangelico conferma questa correlazione. Il fatto evocato è la guarigione di un uomo “che aveva la mano paralizzata”, la qual cosa – incredibilmente! – suscita la reazione dei farisei che “uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire”. Gesù viene contestato perché ha guarito, ma in giorno di sabato, cioè infrangendo il riposo assoluto. La cecità dei contemporanei di Gesù non è poi così lontana da noi moderni “i primi, dopo Gesù, senza Gesù” (C. Peguy). Don Rino, che è vissuto con e non senza Gesù, ne ha riprodotto la sua capacità di mediazione. Al di là del suo carattere impetuoso e deciso, don Rino, infatti, si è rivelato un “pontiere” instancabile tra l’eterno e il temporale; tra l’evangelizzazione e la promozione umana; tra la mistica e la politica. Come egli è vissuto nel concreto?
Anzitutto, è vissuto come un “uomo della soglia”, ben consapevole del travaglio di una società in rapido cambiamento che stava allontanandosi dalla sua radice in nome di un progresso solo materiale che esacerbava le differenze e le portava fatalmente allo scontro. Lui invece ha sempre cercato di tenere aperta la porta della chiesa, senza mai venir meno allo sforzo del dialogo con tutti, senza preclusioni e senza pregiudizi.
Quindi è stato un “uomo dell’indugio”, insegnando l’arte della vita contemplativa nella sua forma più quotidiana e vicina. Ha educato intere generazioni di giovani quando ormai cominciava a non esserci “neanche un prete per chiacchierar” a fermarsi, a pensare, a dialogare per ritrovare il profumo delle cose. Per don Rino la crisi odierna era la perdita del contatto con sé stessi e con le cose, a motivo di questa ipercinesi che porta a star sempre fuori di sé, smarrendo il senso dell’agire.
Da ultimo è stato un “uomo dell’inquietudine”, mai soddisfatto della sua vita, sempre in ricerca di qualcosa che non fosse la difesa dello statu quo, al punto di conservare caratteri giovanili a dispetto dell’età. La sua curiosità, la sua passione, il suo umorismo, la sua voglia di cercare e di rischiare gli avrebbero fatto sottoscrivere le parole di Pessoa: “Essere insoddisfatti è essere uomini… Essere insoddisfatti, in questo senso e nella giusta misura, è un buon antidoto contro la presunzione di autosufficienza e il narcisismo”. Il suo lascito è anche questo. Basti a scavare dentro i nostri cuori come quando abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo.
