Allegato: 29_12_2024 – la vita fiorisce dalla speranza – Santa Famiglia 2024 (Apertura anno giubilare)
Santa Famiglia, Apertura Anno giubilare a Verona
Verona, 29 dicembre 2024
“I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono”. Il brano con cui l’evangelista Luca chiude i “racconti dell’infanzia” presenta un anticipo del viaggio di Gesù a Gerusalemme per dire che la vita è un viaggio. Anzi, come suggerisce il Salmo 83, è un “pellegrinaggio”. Di tale pellegrinaggio il Giubileo – il 31° della storia – è un “segno” eloquente perché la vita non è data una volta per tutte, ma è un cammino verso una meta. Ritrovare una direzione, uno scopo, una ragione è quel che si chiama la speranza. Questa, si badi, non è mai qualcosa che possediamo, ma è una forza (una virtù, si diceva una volta) che spinge in avanti. Se, infatti, manca la speranza ci si blocca nella difesa del presente o del passato. Solo la speranza spinge in avanti, “oltre” quel che siamo e che abbiamo.
“Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme”. Curiosamente la parola “comitiva” dove Gesù e Maria credevano si trovasse il figlio dodicenne si dice in greco: “synodìa” (v. 44), cioè appunto “cammino in comune”. La Chiesa sembra talora assomigliare ad una carovana, qualche volta anzi ad un’armata Brancaleone (sic!). Ma se smarrisce Gesù Cristo non c’è più speranza. Gesù Cristo, infatti, è il “Logos”, cioè la ragione del nostro ritrovarci, la “porta” attraverso cui giungere a Dio, è “l’indulgenza” (Paolo VI) che perdona e rimette per via. Bisogna che ci sia Gesù il Cristo perché si possa camminare insieme. Senza di Lui la religione rischia di essere un girovagare a vuoto. Quando perdiamo di vista Lui ci disorientiamo e non servono “orientamenti” o “strategie pastorali” per rianimare la Chiesa. Questa, in realtà, è solo luce riflessa di quell’unica Luce, grazie alla quale “guardando al tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro” (Spes non confundit, 19).
“Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»”. Gesù rovescia la prospettiva di Maria. Il riferimento al “Padre mio” non attiene solo alla sua origine misteriosa, ma alla libertà che quel dodicenne rivendica rispetto alle attese dei suoi. Così Giuseppe e Maria vengono educati a percepire che c’è dell’Altro nella vita che ha a che fare con Dio. Noi pure impariamo a farci discepoli del Figlio, imitandolo nell’ascoltare e nell’interrogare. Due sono le domande che restano. La prima: che senso ha l’interminabile tapis roulant della natura e della storia? La seconda è: io, chi sono? Da dove vengo, dove vado? Da queste due domande – una più orizzontale e l’altra più verticale – dipende la speranza senza della quale la vita non può fiorire. Ci affidiamo a Maria, la cui speranza, non è “fatuo ottimismo, ma dono di grazia nel realismo della vita” (Spes non confundit, 24).
