Allegato: Giovedì della II settimana di Avvento 2024
Cattedrale di Verona, giovedì 12 dicembre 2024
Giovedì della II settimana di Avvento
( Is 41,13-20; Sal 145; Mt 11,11-15)
“Fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista”. Il Battista è il più grande perché punto di congiunzione tra il Primo e il Nuovo Testamento; è il profeta che non parla più attraverso segni, ma indicando la persona del Messia. Gesù, però, sembra diminuirne la portata aggiungendo che “il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”. Che vuol dire? C’è chi ha ipotizzato che ‘più piccolo’ andrebbe inteso come ‘più giovane’ e quindi implicitamente riferendosi a sé stesso. Ma questa spiegazione, pure seducente, non convince. Qui il Maestro sta affermando la superiorità della nuova Alleanza che va ben oltre la Legge. L’attesa del popolo di Israele è stata decisiva nel tener desta l’attenzione verso il Dio unico, ma ora è Dio stesso che si fa vicino nella forma di un uomo. È il Natale che stiamo per celebrare e che talora noi stessi cristiani tendiamo involontariamente ad abolire riducendolo ad una generica festa degli affetti e dei buoni sentimenti. Al contrario, l’Incarnazione è lo scandalo più potente che si possa immaginare.
“Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono”. Proprio queste minacciose parole di Gesù lasciano intendere lo scandalo dell’Incarnazione che scatena una violenza. Non ci si riferisce soltanto a quello che accadrà con la strage degli Innocenti ordita da Erode, ma alla dinamica della fede che non è mai una situazione priva di rischi e di pericoli. Intanto perché l’esperienza umana suggerisce che il bene attira a sé il male in forme violente. Anzi, come suggerisce Ignazio di Loyola, proprio l’avversità assicura ad un cristiano di aver fatto la scelta giusta. E poi perché la violenza da esercitare non è quella indirizzata agli altri, ma verso sé stessi. I ‘violenti’ che si impossessano del regno di Dio sono quelli che progrediscono nella misura in cui fanno violenza a sé stessi. Cioè rinnegano il proprio sé per aprirsi a Dio. La fede non è una passeggiata, ma sempre un esodo da sé stessi verso strade sconosciute, a cui preferiamo i nostri viottoli abituali.
“Chi ha orecchi, ascolti!”. L’ammonimento conclusivo è forse l’augurio per il prossimo Natale: aprire gli orecchi per ascoltare. Ascoltare è l’imperativo categorico di Israele, ma anche la strada dell’esperienza cristiana. A noi è chiesto di prolungare in questi giorni del Natale l’ascolto e non la visione, cioè l’apertura al Dio piccolo che si fa vicino. Questa fu l’intuizione di san Francesco nel Natale del 1223: “In qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza di cose necessarie a un neonato”. È da questa contemplazione del piccolo che può farsi strada la grandezza della vita di ciascuno.
