Allegato: Giovedì della I settimana di Avvento 2024 – Lugana di Sirmione
Giovedì della I settimana di Avvento
Lugana di Sirmione, giovedì 5 dicembre 2024
(Is 26,1-6; Sal 118; Mt 7,21.24-27)
“Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Per i Greci non c’era distinzione tra ragione e volontà. A differenza dei medievali della Scolastica, i Greci non concepivano che un uomo potesse essere così schizofrenico dal pensare una cosa e dal farne poi un’altra. Per Socrate, il peccato è l’ignoranza: se uno sapesse ciò che per lui è bene, lo farebbe senza alcun intralcio. Molto più realista appare invece un autore latino come Ovidio, e al suo seguito san Paolo; per il quale “vedo ciò che è bene e lo approvo, ma faccio ciò che è male”. È una contraddizione molto forte e oggi presente soprattutto nei riguardi del prossimo. Come detto una volta da W. Allen: «Io amo l’umanità. È la gente che non sopporto!».
“Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio… Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto”. Il senso della parabola non è tanto distinguere chi costruisce sulla roccia e chi sulla sabbia, ma ciò che questo significa per la comunità dei primi discepoli di Gesù. Questi prendono coscienza di ciò che sono nel confronto con l’uno o l’altro costruttore. Imparano se stanno costruendo sulla base di qualcosa di solido oppure di evanescente. Il rischio è quello di lasciarsi impressionare dall’apparenza senza verificare le fondamenta che sono sempre invisibili, ma decisive. Peraltro le forze scatenate dalla natura che si abbattono sulla casa non indicano tanto le difficoltà storiche a cui il cristiano va incontro, quanto la prova suprema della verità che è il giudizio finale. Non potranno superarla i credenti che non hanno messo in pratica il discorso della montagna. Su di loro cadrà la condanna eterna e dunque il fallimento della propria vita. La parabola suona minacciosa nei riguardi di una comunità che non si impegna sul piano dell’ortoprassi, ma soltanto della teoria o del rito.
I castelli medievali italiani vengono chiamati “rocca” perché costruiti su un’altura rocciosa. Sono ancorati alla natura che li tiene in piedi, a differenza di terreni sabbiosi instabili e mutevoli. La nostra vita oggi sembra costruita per lo più sulle sabbie mobili di certezze variabili, di coscienze intorpidite, di slanci frenati. Il rischio è quello di essere sempre ad un passo da uno tsunami che mette tutto a soqquadro. Dobbiamo ritrovare la roccia che è la fede umile e coraggiosa di Maria che non teme di aderire alla Parola fino a farla diventare carne della propria carne. In mezzo ai cambiamenti del mondo dev’esserci qualcosa che ci tenga fermi. Questa cosa sono i legami che non a caso rappresentano la relazione con Dio e con gli altri. Occorre investire di più su questi legami che sono come il palo a cui Ulisse si fa legare per non lasciarsi distrarre dalle sirene durante la navigazione. Anche noi abbiamo bisogno di trovare legami forti e generativi che non ci facciano sentire soli, ma in contatto con gli altri, in primis con Dio.
