XXVII domenica per annum 2025
(Ab 1,2-3; 2,2-4; Sal 95; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10)
Roverè Veronese, sabato 4 ottobre 2025 e Oppeano, domenica 5 ottobre 2025
“Se aveste fede quanto un granello di senape”. Gesù non si sottrae alla richiesta dei suoi che gli chiedono di veder aumentare la fede, precisando che non si tratta di quantità, ma di qualità. La fede non è una cosa da possedere e da conservare in soffitta, ma è un’esperienza vitale che fa compiere azioni anche impensabili: “Potreste dire a questo gelso: ‘Sràdicati e vai a piantarti nel mare’, ed esso vi obbedirebbe”. Oggi tale richiesta potrebbe sembrare inutile. Desideriamo che aumenti il nostro gruzzolo in banca, che cresca il numero dei nostri followers, che aumenti la nostra visibilità, ma che cresca la fede non è poi una questione avvertita così rilevante. Che bisogno c’è mai di credere?
C’è bisogno eccome. L’alternativa infatti è andar dietro a ogni sciocchezza. In concreto: si è credenti oppure creduloni. Basta guardarsi intorno: non si crede più in Dio, in compenso si crede, senza dirlo, alla fortuna e alla sfortuna! La stessa ragionevolezza spesso è soppiantata da un’emotività che sacrifica qualsiasi cosa sull’altare di quello che sento e non di quello che è. Alla fine questa condizione ci ha resi lontani dagli altri, incapaci di avere un punto di vista comune. Senza Dio manca una visione delle cose e si finisce per inseguire il frammento della quotidianità camminando verso il niente. Come aveva detto S. Kierkegaard: “La nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”.
Chi crede è uno, anzitutto, che vede in anticipo, cioè un visionario; sa dove si va, ma non ne conosce tutte le strade: “È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà” (Abacuc). San Francesco, al di là di facili mitizzazioni, ha trascorso lunghi periodi nello scoramento, nell’isolamento, nel disorientamento. Ma ha saputo attendere. Non ha abdicato a quello che aveva visto. Perché aveva una visione. Chi crede, poi, diventa coraggioso e prudente allo stesso tempo, cioè supera la timidezza, come dice Paolo a Timoteo. San Francesco ha introdotto nella Chiesa stanca e polverosa dei suoi tempi un fremito e una passione che non l’hanno più abbandonata. Chi crede, infine, è libero e disinteressato. È un ‘servo inutile’, come Francesco che ancora vivente accetta di essere sostituito nella guida dell’Ordine, ma non smette di orientarlo e di provocarlo ancora oggi. Non importa che la fede sia tanta. Conta che ci sia. Che noi la si difenda dalle sue contraffazioni per avvicinarci sempre più a Dio e agli altri: “Signore, conserva in me la mia poca fede”.
